Vuoi spiegarci?
XX settimana T.O. –
La domanda che viene sollecitata dal modo in cui Ezechiele vive il lutto per sua moglie sarebbe forse da rivolgere al Signore Gesù per farci comprendere meglio le parole rivolte a quel <giovane> (Mt 19, 20) che pure è animato da ammirabile generosità: <Non vuoi spiegarci che cosa significa quello che tu fai?> (Ez 24, 19). In realtà, la parola che il Signore offre a quel giovane in risposta alla sua insistenza è ben più di una parola, ma è l’invito a passare dall’osservanza dei comandamenti – lodevolissima! – all’imitazione della sua spogliazione che diventa un luogo di rivelazione: <Se vuoi essere perfetto, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!> (Mt 19, 21). È questa una parola del Maestro non solo citata, ma pure talora bistrattata.
Su questa parola cominciò il suo cammino il giovane Antonio prima di inoltrarsi nel deserto e diventare punto di riferimento di quanti anelavano alla libertà di seguire il Vangelo senza lasciarsi prendere dalle nuove possibilità che, dopo l’era dei martiri, proprio l’essere cristiani prometteva e permetteva. Da questa medesima parola furono mossi i primi passi della conversione e della fraternità di Francesco d’Assisi come protesta contro un mondo che si cominciava ad organizzare sempre più attorno al soldo perdendo di vista il Sole della giustizia, della condivisione, della fraternità allargata fino ai confini dell’universo. Eppure, la conclusione del Vangelo sembra fare a pugni con il grande slancio con cui quel tale si avvicina al Signore Gesù: <Udita questa parola, il giovane se ne andò, triste; possedeva infatti molte ricchezze> (19, 22).
La prima lettura ci aiuta a cercare di cogliere che cosa i beni materiali e le possibilità esistenziali rappresentano realmente per noi. È necessario continuamente non identificare le nostre possibilità con la <delizia> (Ez 24, 16) della nostra vita. A quest’uomo manca qualcosa perché la sua vita è talmente ingombra da non avere spazio sufficiente per l’essenziale che è la relazione con qualcuno espressa mirabilmente in quell’invito solenne e destabilizzante al contempo: <Seguimi!>. Che senso mai avrebbe mettersi alla sequela di qualcuno se non si sente, in realtà, nessun desiderio e nessun bisogno di andare oltre ciò che si è sperimentato della vita attraverso la figura tragica dell’attaccamento. Il primo passo della sequela esige la disponibilità a mascherare la folle paura di scoprire qualcosa di più e di diverso da ciò che si conosce di se stessi e cui ci si è abituati.
Per essere felici non basta osservare, ma è necessario trovare il fondamento di ogni atto e di ogni decisione per fare della morale un’espressione alta della libertà e non un sottoprodotto della costrizione della paura o dell’esaltazione da ansia di prestazione… che sono, in realtà, la stessa cosa.
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