Una parola che dica
VIII Domenica T.O. –
Possiamo cogliere e accogliere l’invito dell’apostolo: <fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, prodigandovi sempre nell’opera del Signore> (1Cor 15, 58). Certamente anche a ciascuno di noi piacerebbe poter dire con Giobbe: <Io ero gli occhi per il cieco> (Gb 29, 15). Ma la Parola di Dio subito ci mette in guardia da parole o gesti più grandi di noi o, più precisamente, non corrispondenti alle nostre vere possibilità e capacità: <Può forse un cieco guidare un altro cieco?> (Lc 6, 39). Il Signore Gesù ci allerta riguardo a certe frasi pronunciate con la tipica untuosità sotto cui, di solito, si cela una <buca> (Lc 6, 39): il tranello di un buco vuoto al posto di un cuore sovrabbondante.
La frase untuosa suona così: <Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio> (Lc 6, 42). Frase innocua – persino cortese! – ma che rischia di compromettere radicalmente la carità e la misericordia in quanto non ci si pone accanto all’altro ma si assume l’atteggiamento di chi vede di più, sa di più, pensa di poter fare e offrire di meglio. E il Signore Gesù ci ammonisce: <Se foste ciechi non avreste alcun peccato, ma siccome dite: “Noi vediamo!” Il vostro peccato rimane> (Gv 9, 41).
La Parola di Dio ci invita alla sapienza che, secondo quanto ci viene indicato nella prima lettura, esige una distanza e un certo tempo: il tempo necessario a filtrare attraverso il vaglio e la necessaria distanza per provare attraverso il fuoco; la calma attenzione indispensabile per verificare – attraverso il dispiegarsi della conversazione – la verità e la consistenza di un uomo attraverso la qualità e la densità della sua parola.
L’immagine dell’albero e dei suoi frutti, che pure ritorna nel Vangelo, rafforza ancora di più questo invito alla pazienza del discernimento che non si fida di quello che vede – le tante foglie che rendono un albero attraente – ma che sa sedersi in attesa che il frutto – bello e buono – ne indichi non solo l’attrattiva, ma la capacità di <dare frutto a suo tempo> (Mt 21, 41). In tal modo si rivelerà la vera natura dell’albero permettendo così finalmente di comprendere il mistero della radice, il mistero di un cuore che custodisce qualcosa di più grande di noi – il tesoro della presenza di Dio – oppure una collezione di pagliuzze raccattate qua e là e gelosamente custodite per consolarci e lasciarci immobili come una <trave> che fu albero ma non lo è più!
Quale l’opera che il Signore si attende da noi? Quale frutto il Signore viene a cercare sotto l’albero che siamo chiamati a diventare nonostante forse sembriamo più un rovo ingarbugliato che un albero in crescita? Sembra darci una risposta Ben Sirach: <il frutto mostra come è coltivato l’albero, così la parola rivela il mistero dell’uomo> (Sir 27, 6): una parola che non punga come le spine ma sia dolce come il fico; una parola che non laceri come il rovo ma fortifichi come il frutto di una buona vendemmia.
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