Tranquillo

XV settimana T.O.

Il profeta Isaia viene mandato dal Signore Dio incontro al re Acaz e ancora una volta si fa messaggero di un invito alla calma: <Fa’ attenzione e sta tranquillo, non temere e il tuo cuore non si abbatta> (Is 7, 4). L’invito alla serenità e alla fiducia è imprescindibilmente legato alla fede. Per questo il testo della prima lettura si conclude con un’esortazione che ha tutto il tono della sfida ad una relazione con Dio assolutamente coinvolgente e decisiva: <Ma se non crederete, non resterete saldi> (7, 9b). In questo modo il profeta crea una relazione fortissima tra la tranquillità e la fede! Come amava ripetere Bernardo di Chiaravalle ai suoi monaci: <Ubi tranquillitas ibi Tranquillus est> (dove c’è la tranquillità là si trova il Tranquillo>. Tutta la tradizione monastica si è espressa e riconosciuta in modo particolarissimo nella ricerca esicasta (esychìa significa la pace interiore). In tal modo i maestri hanno riconosciuto nella conquista della serenità dell’anima il vertice e il fine della ricerca spirituale che permette di vivere già qui e già ora la gioia che sarà perfetta e continua nella vita eterna.

Il Signore Gesù, con parole certamente dure ed esigenti, non fa che confermare la parola del profeta e l’anelito di tutti coloro che si sono impegnati in una seria ricerca di vita spirituale: <si mise a rimproverare le città nelle quali era avvenuta la maggior parte dei suoi prodigi, perché non si erano convertite> (Mt 11, 20). Quella di Gesù non è una presa di posizione moralistica e mortificante. Al contrario è l’espressione di un profondo dolore per l’incapacità di città come Corazin, Betsaida e Cafarnao a cui è stata data una possibilità di crescita che forse più che rifiutata non è stata neppure avvertita. Davanti a questa chiusura che sa tanto di ingratitudine, il Signore non può che esaltare città come Tiro e Sidone che sono il simbolo, nella tradizione biblica, dell’idolatria e dell’orgoglio (Cfr. Is 23; Ez 26-28).

La domanda che viene da porsi in modo del tutto naturale è chiedersi la ragione per cui le città che hanno avuto il privilegio di essere visitate dal Signore Gesù non si sono aperte alla sua parola. La domanda, naturalmente, si fa ancora più esigente nel momento in cui non si tratta più di queste città, bensì del nostro cuore! Nella logica di cui si fa testimone il profeta Isaia potremmo dire che forse è la difficoltà a intuire come la conversione e la fede possono regalarci una serenità e tranquillità che non sono semplicemente il frutto dell’assenza di tensioni esterne e di quella <guerra> (Is 7, 1) che continuamente rischia di squassarci l’anima. Tensioni esterne e battaglie interiori fanno parte della vita. Ciò che fa la differenza è, in realtà, la capacità di credere che dentro la fatica normale della vita vi sia una relazione privilegiata con il Signore che può assicurare una tranquillità di fondo che niente e nessuno potranno toglierci. Certo se questo non è che un dono, esige pure la nostra adesione e la nostra volontà di ripartire ogni mattina non da noi stessi, bensì dalla nostra relazione con il Tranquillo che può ritessere continuamente i fili della nostra tranquillità nella misura in cui lo lasciamo entrare nella nostra vita. Altrimenti <la terra di Sodoma sarà trattata meno duramente di te> (Mt 11, 24). E Sodoma fu condannata proprio per l’incapacità dei suoi abitanti ad accogliere e rispettare l’altro tanto da pensare di poter abusare di gente di passaggio.

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