Somiglianza
II settimana T.O. –
La Lettera agli Ebrei ritorna più volte sul mistero del sacerdozio di Cristo il quale sorge <a somiglianza di Melchisedek> ed è al contempo <differente> (Eb 7, 15). In questo gioco di somiglianza e di differenza è ben significato il combattimento di ciascuno discepolo chiamato a vivere una continuità nella necessaria e talora dolorosa rottura. Sembra comunque, secondo l’approccio della prima lettura, che sia necessario anche per ciascuno di noi riuscire a coniugare nella nostra vita la <giustizia> e la <pace> (7, 2). Il Signore Gesù si rivela capace di coniugare le esigenze della fedeltà a Dio con la necessaria capacità di vedere e di rispondere alla sofferenza che è il rimando più grande al mistero stesso della nostra umanità. Il modo in cui il Signore si accorge della sofferenza non è quello proprio ad un sacerdozio esercitato nella distanza, ma in una reale prossimità che si fa concreta e rischiosa condivisione. La conclusione repentina del vangelo non lascia dubbi: <E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire> (Mc 3, 6).
I farisei sembrano difendere il principio dell’osservanza del sabato, eppure si rivelano dimentichi del senso profondo del riferimento al sabato che non si può ridurre semplicemente alla memoria grata della signoria di Dio sulla creazione. Infatti, il sabato è pure la memoria coinvolgente della necessaria signoria dell’uomo sulla storia che passa attraverso la capacità di vivere le relazioni come luogo di incremento di vita. Come ricorda Ilario di Poitiers: <Quindi, l’azione del Figlio è di ogni giorno; e, secondo me, i principi della vita, le forme dei corpi, lo sviluppo e la crescita degli esseri viventi manifestano questa opera>1. Pertanto, di questa opera noi non possiamo essere solo spettatori, ma siamo chiamati ad essere alacri collaboratori. La domanda che il Signore Gesù pone esige la risposta concreta e fattiva di ogni giorno attraverso le nostre scelte concrete e le nostre priorità: <E’ lecito in giorno di sabato fare del bene fare del male, salvare una vita o ucciderla?> (Mc 3, 4).
Prima ancora della nostra risposta a questa domanda, vi è la reazione di Cristo Signore al nostro silenzio: <E guardandoli tutt’intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori…> (3, 5). Come sacerdote e come medico, il Signore Gesù ci ricorda il rischio di avere un cuore indurito. La provocazione è limpida e chiara: sappiamo e vogliamo stare dalla parte delle persone lasciandoci interrogare, sempre, dalla concreta sofferenza? Con una sorta di ricerca ascendente delle origini del sacerdozio, la Lettera agli Ebrei sembra risalire da Aronne a Melchisedek fino al Verbo che rimanda al mistero di quel settimo giorno in cui l’umanità ricevette dal Creatore il grande dono e la responsabilità di essere custode e sacerdote della creazione. Questo sacerdozio non solo universale ma pure primordiale si esercita in una capacità di rendere sempre più piena e più bella la vita perché assomigli sempre di più alla vita stessa di Dio.
1. ILARIO DI POITIERS, Trattato sui salmi, 91, 3.
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