Servo

XXXI settimana T.O.

La liturgia della Parola di quest’oggi ci offre come prima lettura uno dei testi fondamentali ed emblematici di tutte le Scritture cristiane. L’Inno dei Filippesi ci porta al cuore stesso della rivelazione di Dio in Cristo Gesù il quale <pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini> (Fil 2, 6-7). Se il movimento del Verbo non è quello di preservare e difendere i privilegi della sua propria condizione, i primi invitati della parabola non fanno che rimarcare potentemente il privilegio di essere chiamati per primi tanto che <uno dopo l’altro, cominciarono a scusarsi> (Lc 14, 18). Le scuse di questi invitati nascono dalla presunzione di non avere bisogno di partecipare al banchetto preparato da questo tale che non può assolutamente sopportare l’idea di mangiare da solo. I primi invitati hanno tutta l’aria di chi non solo ha da pensare ad altro e ha da fare altro, ma persino di chi è sottilmente infastidito da questa insistenza nell’invito: <Venite, è pronto> (14,17). All’ultimo appello del padrone di casa, fanno riscontro le “scuse” dei suoi invitati.

La reazione del padrone di casa è duplice: lo vediamo <adirato> e, al contempo, deciso a celebrare comunque il suo banchetto: <Esci subito per le piazze e le vie della città e conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi> (14, 21). Potremmo chiederci la ragione dell’essere così <adirato> da parte del padrone di casa! Una ragione può essere il fatto di dover far subire, contrariamente al suo modo di essere e di pensare, un’ulteriore umiliazione a quei poveri, storpi, ciechi e zoppi cui deve rivolgere il suo invito quasi come fossero dei semplici sostituti. Se i primi invitati avessero declinato fin da subito le cose non sarebbero andate così!

Nondimeno non dobbiamo dimenticare che la parabola – come spesso avviene – è la risposta ad una domanda precisa: <Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!> (14, 15). Raccontando questa parabola il Signore ribadisce e chiarisce due cose. La prima: nel regno di Dio c’è posto per tutti tanto da fa risuonare una sorta di amorevole pressione: <costringili ad entrare perché la mia casa si riempia> (14, 23). Con la seconda ci mette in guardia dal pericolo non di essere esclusi, ma di escluderci dalla grande festa organizzata con cura dal Padre per ciascuno dei suoi figli. Dal Signore Gesù siamo chiamati ad imparare a non considerare un <privilegio> l’essere invitati ad una comunione così profonda con il Padre, ma a sentire la gioia di una partecipazione possibile alla stessa vita di Dio che non può mai essere in antitesi con il modo proprio di essere di Dio. L’umiliazione del Verbo non è una mortificazione fine a se stessa, ma è, al contrario, la necessaria conseguenza e la stupenda rivelazione della verità del volto di Dio che non è quella del <privilegio> di <essere come Dio>, bensì dell’assomigliargli talmente da rinunciare ad ogni apparenza di privilegio per condividere sempre più fraternamente il banchetto della vita. Come in un pezzo teatrale, anche in questa parabola ecco che al <servo> (Lc 14, 22) che diventa icona del <servo> (Fil 2, 7) viene affidato il messaggio più importante, quello che deve raggiungere il nostro cuore: <Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c’è ancora posto> (Lc 14, 22).

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