Senza colpa
XV settimana T.O. –
Per due volte il Signore Gesù cerca di attirare l’attenzione dei farisei su una possibilità che forse sfugge alla loro comprensione interiore ormai abituata ad una meccanica di colpevolizzazione che rischia di uccidere la speranza e la fede. Dapprima una domanda: <O non avete letto nella Legge che nei giorni di sabato i sacerdoti nel tempio vìolano il sabato e tuttavia sono senza colpa?> (Mt 12, 5). In seguito, un’affermazione così chiara da essere in realtà la vera interrogazione: <Se aveste compreso che cosa significhi: “Misericordia io voglio e non sacrifici”, non avreste condannato persone senza colpa> (12, 7). In questa diatriba siamo condotti nel merito di uno dei temi più forti e ricorrenti dell’annuncio di Gesù, forse il fondamentale: aldilà e ben prima delle scelte e delle questioni pratiche vi è un modo di concepire la vita che non può che fondarsi su un modo di pensare a Dio e a se stessi. Se la <colpa> diventa il motore della relazione con Dio e non la <misericordia> allora è chiaro che tutto si svolgerà e, prima ancora, si sentirà in un certo modo e sarà avvertito in una certa direzione che è quella della colpevolizzazione.
Nella prima lettura leggiamo come da parte del Signore, invece, ci sia una capacità persino di tornare <indietro> (Is 38, 8) sulle proprie decisioni rendendo possibile l’impossibile, come se <il sole> retrocedesse <di dieci gradi sulla scala che aveva disceso>. Eppure, quello che a noi sembra non solo impossibile e forse persino non augurabile diventa reale a partire dalla capacità di non leggere ogni cosa a partire dalla <colpa>, ma ripartendo continuamente dalla <misericordia>. Il primo passo è quello di verificare il nostro modo di leggere e di interpretare le Scritture e la tradizione perché esse non si trasformino in un giogo opprimente e insopportabile, ma in un’esperienza di grazia: <Non avete letto quello che fece Davide…?> (Mt 12, 3).
Rispettando la Legge senza leggerla in profondità di certo ci si assicura la tranquillità della coscienza. Decidendosi per la conversione nulla è più così chiaro e scontato, ma ci si apre all’accoglienza di Dio e dell’altro che tutto ricrea. Come Ezechia anche noi senza vergogna e con una punta di santo orgoglio possiamo rivolgerci a Dio dall’abisso del nostro dolore che non necessariamente e comunque non sempre è un abisso di colpa: <Signore ricordati che ho camminato davanti a te…> (Is 38, 3). A ben pensare forse siamo migliori di quanto noi stessi riusciamo a pensare di noi stessi. Il Signore Gesù non esita a creare un parallelo tra il comportamento dei discepoli e quello di Davide affamato con i suoi compagni e dei sacerdoti impegnati quotidianamente nel culto. Il Signore, con un ragionamento sottile, ci ricorda che lo scandalo non sta nel raccogliere le spighe in giorno di sabato, ma nel non sapere condividere con gli altri. In realtà è l’egoismo l’unica vera trasgressione imperdonabile.
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