Quando

XXXIV settimana T.O.

Spesso anche noi ci chiediamo <quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?> (Lc 21, 7). Il <quando> delle nostre interrogazioni diventa per il Signore Gesù non più una categoria temporale in senso cronologico, ma un atteggiamento di discernimento nei confronti della realtà da vivere ogni giorno con intensità e decisione. Da questo nasce un monito che non dobbiamo mai sottovalutare: <Badate di non lasciarvi ingannare. Molti, infatti, verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”> (Lc 21, 8). L’inganno sta nel fatto di attendere il compimento di una promessa dal di fuori e in un tempo a venire tanto da trasformare la vita in una sorta di sospensione messianica che ci inclina a credere che qualcuno, prima o poi, verrà a risolvere i nostri problemi. Il Signore ci ricorda con una sorta di preoccupazione di non lasciarci non solo ingannare, ma neppure troppo impressionare: <Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine> (21, 9). La <fine>, infatti, non è la cosa più importante, bensì la consapevolezza di un fine verso cui convogliare il meglio delle nostre energie così da trasformare ogni piccolo passo del quotidiano in un reale compimento che non rimanda la speranza, ma la compie con il dono di sé.

Il veggente di Patmos ci ricorda, nella prima lettura, che il compimento è una necessità che non si compie semplicemente come conclusione cronologica della storia, ma pure come compimento quotidiano del compito che è la vita in quanto tale: <vidi: ecco una nube bianca, e sulla nube stava seduto uno simile a un Figlio d’uomo: aveva sul capo una corona d’oro e in mano una falce affilata> (Ap 14, 14). Possiamo sentire tutto ciò come una minaccia, oppure come una consolazione e una rassicurazione perché in realtà, secondo le parole dell’angelo: <è giunta l’ora di mietere, perché la messe della terra è matura> (14, 15). Mietere una messe ben matura è la cosa più normale e più bella che si possa pensare e non ha nulla di minaccioso, al contrario rappresenta la normale e desiderabile conclusione di una lunga attesa che va dal momento della semina a quello della raccolta.

Alla luce della parola del Signore Gesù e di quella dell’angelo dell’Apocalisse siamo rimandati ad un modo diverso di abitare il tempo. Non si tratta di aspettare o di aspettarsi chissà quali cose, ma la sfida è quella di maturare decisamente tanto da essere pronti per la mietitura interiore di una vita che ha raggiunto la sua pienezza. Non è facile, ma è doveroso e sano, saper immaginare e preparare anche il tempo della fine non come minaccia, ma come un’opportunità e un desiderabile compimento che ci porta più in là di ciò che abbiamo già sperimentato e conosciuto fin qui come il grano che si fa disponibile a diventare pane, come l’uva che gioiosamente si lascia versare nel <tino> (Ap 14, 19) per diventare vino. Stiamo attenti a non marcire come grano abbandonato nei campi che nessuno miete, a non intristire come uva matura che nessuno vendemmia.

1 commento
  1. Giuseppe assola
    Giuseppe assola dice:

    E bello che vi posso scrivere . Mi piace pregare a orario della comunità ,mi sembra di essere li

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