Potenza
XXVII settimana T.O. –
Uno dei primi padri ad aver commentato la preghiera che il Signore consegna ai suoi discepoli è stato Cipriano di Cartagine, il quale dice così: <Quali e quante poi sono, fratelli carissimi, le rivelazioni della preghiera del Signore! Esse si trovano raccolte in un’invocazione brevissima, ma carica di spirituale potenza. Non c’è assolutamente nulla che non si trovi racchiuso in questa nostra preghiera di lode e di domanda>1. Per riprendere ciò che l’apostolo ribadisce più volte nello spazio di poche righe, potremmo dire che il Padre Nostro sia un riassunto del <Vangelo che io annuncio tra le genti> (Gal 2, 6). La formula, più breve e concisa, che ci viene tramandata da Luca, sembra avere un’efficacia ancora più grande. Quando il Signore Gesù risponde alla richiesta di uno dei suoi discepoli esordisce così: <Quando pregate dite: “Padre” …> (Lc 11, 2) e conclude con un’invocazione: <non abbandonarci alla tentazione> (11, 4).
Se rileggiamo il Padre Nostro a partire dalla prime e dall’ultima parola, sembra di poter dire che questa preghiera è l’antidoto alla tentazione della paura che talora ci induce a trescare per non turbare e non essere turbata. La dura accusa che Paolo fa nei confronti di Pietro <a viso aperto perché aveva torto> (Gal 2, 11) ci riporta alla continua necessità di purificare i nostri cuori da tutto ciò che ci fa temere Dio, gli altri e, forse prima di tutto, noi stessi. Se invece, ogni giorno attraverso la preghiera, impariamo a rivolgerci a Dio col nome di <Padre>, allora la preghiera diventa una scuola di libertà e un’accademia di verità. Se ripetiamo con la mente e con il cuore la preghiera che il Maestro ci ha insegnato, impariamo a nominare tutti gli aspetti e tutte le coordinate della nostra vita imparando ad accoglierli e ad attraversarli senza cadere nella trappola, sempre incombente, della <simulazione> (2, 13).
Nella preghiera impariamo a nominare il <regno> senza dimenticare <il pane quotidiano>, nella preghiera ci ricordiamo di avere un <Padre> senza dimenticare di essere non solo figli, ma anche fratelli e questo esige che ogni giorno non solo mangiamo, ma anche <perdoniamo> (Lc 11, 4). La preghiera così diventa non una realtà parallela alla vita, ma ci aiuta ad impastare la nostra terra con il cielo di Dio senza lasciarci prendere dalla <tentazione> di inutili e dannosi purismi ma cercando di diventare sempre più e sempre meglio discepoli del Vangelo. Come ricorda Simone Weil: <Aver rimesso ai nostri debitori significa aver rinunciato in blocco a tutto il passato. Significa accettare che l’avvenire sia ancora vergine e integro, rigorosamente congiunto al passato con legami a noi ignoti, ma del tutto libero da quei legami che la nostra immaginazione presume di imporgli>. La stessa Weil aggiunge: <La remissione dei debiti è la povertà spirituale, la nudità spirituale>2 in una parola la libertà del Vangelo che si fa Vangelo di libertà per le sterminate terre pagane del nostro cuore.
1. CIPRIANO DI CARTAGINE, Sul Padre nostro, 9.
2. S. WEIL, <A proposito del Pater>, in Attesa di Dio, Adelphi, Milano 2008, pp. 94-96.
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