Poi…

II settimana T.O.

La parola, che si pone come sigillo ad uno dei momenti più importanti – anzi il fondamentale – in quelli che sono gli inizi della Chiesa, è una sorta di memoria della fragilità. Suona infatti come un campanello d’allarme o come un invito costante alla consapevolezza di ogni discepolo: <il quale poi lo tradì> (Mc 3, 19). Meditare con attenzione umile e amorosa questa parola del Vangelo può risvegliare e nutrire in noi un modo di guardare alla Chiesa che sia giusto e sereno. Secondo il Vangelo, il mistero della Chiesa non nasce perfetto e poi si deteriora. Al contrario sin dal suo essere ancora tra le braccia di Gesù, come suo Signore e Maestro, quello della Chiesa è un mistero di fragilità, d’incompiutezza, persino di devianza possibile e quasi necessaria. Il contrasto tra il primo e l’ultimo versetto di oggi va rilevato e non va dimenticato poiché proprio quel versetto che noi volentieri avremmo omesso, ci trasmette una rivelazione importantissima: <salì sul monte, chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui> (3, 13) e <lo tradì> (3, 19). Verrebbe da consigliare al Signore Gesù di stare più attento e di essere più prudente nella scelta dei suoi amici e un po’ più perspicace nella elezione di quanti fregia del nome di <apostoli> (3, 14).

Forse, in realtà, non si tratta di un errore, bensì di una rivelazione: ad essere oggetto di scelta e di mandato da parte del Signore Gesù per essere garante dell’annuncio del Vangelo nella sua triplice forma dello stare con lui, predicare e guarire, non è un gruppo scelto, ma un gruppo ibrido di uomini difettosi e fragili. La Chiesa nasce povera e per questo non è posta nel mondo come un modello di perfezione cui guardare, ma come un luogo possibile di umanizzazione in cui restare e nel quale veramente nessuno ha motivo di sentirsi inadeguato e a disagio. In questa direzione interpretativa possiamo accogliere la parola della prima lettura applicandola al mistero della Chiesa non come sostituzione migliorata del mistero di Israele, bensì come novità assoluta nel modo di concepire la relazione con Dio: <Non sarà come l’alleanza che feci con i loro padri, nel giorno in cui li presi per mano per farli uscire dalla terra d’Egitto; poiché essi non rimasero fedeli alla mia alleanza, anch’io non ebbi più cura di loro> (Eb 8, 9). Pertanto, il fondamento è totalmente nuovo e per certi aspetti sganciato dalle nostre possibilità di riuscita spirituale: <Perché io perdonerò le loro iniquità e non mi ricorderò più dei loro peccati> (Eb 8, 12).

A fondamento del mistero della Chiesa che vive, soffre ed erra in ogni tempo e in ogni luogo, non vi è il merito e le qualità degli apostoli, né tantomeno la loro omogeneità umana e spirituale, ma una fiducia del Signore che conta non solo sulle forze, ma pure sulle fragilità dei suoi apostoli. Tutto ciò ha uno solo fine: rivelare la forza e la bellezza del suo amore che, sin dall’inizio e non come incidente di percorso, mette in conto l’errore e quindi il perdono. Come discepoli nel tempo presente ci è chiesto di essere sereni e consapevoli.

1 commento
  1. Marielle
    Marielle dice:

    ” …tutto cio’ ha un solo fine : rivelare la forza e la bellezza del’ Amore di Dio…” Vorrebbe dire che la più grande qualità di un discepolo sarebbe di perdonare anche …il “male.”..?…e allora, è questo perdono che rivela l’Amore ? La fragilità e la debolezza dell’umanità diventa allora il luogo della misericorda, della scoperta del immenso Amore Divino e dell’Aleanza ritrovata ? BELLISSIMO…!

    Rispondi

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *