Ohimè

XIV settimana T.O.

La grande visione che il profeta Isaia contempla nel Tempio e segna l’inizio del suo ministero si fa parola rivolta ai discepoli da parte del Signore Gesù: <Un discepolo non è più grande del maestro, né un servo è più grande del suo signore; è sufficiente per il discepolo diventare come il suo maestro e per il servo come il suo signore> (Mt 10, 24-25). Davanti a questa parola la reazione più adeguata è la stessa che sgorga in modo spontaneo dal cuore di Isaia: <Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure, i miei occhi hanno visto il Signore degli eserciti> (Is 6, 5). Il profeta si sente inadeguato a farsi annunciatore di una gloria che sembra non solo superarlo, ma da cui si sente schiacciato. Ogni discepolo non può che sentire tutto il peso di vivere cercando di essere in tutto simile al suo Maestro e Signore quando questo significa niente altro che condividerne il rifiuto e la sofferenza: <Se hanno chiamato Beelzebùl il padrone di casa, quanto più quelli della sua famiglia> (Mt 10, 25).

A questo punto una domanda si pone ed è assolutamente doverosa e legittima: <Per quale motivo si dovrebbe abbracciare il cammino di sequela del Cristo, quando è chiaro sin da subito che questo comporta una condivisione non della gloria, ma del peso di una vita che si fa annuncio di verità scomode?>. Questa domanda rimane presente nel cuore e ad essa certo non possiamo pretendere di rispondere una volta per tutte. La risposta viene data ogni giorno e, per molti aspetti, non può che essere quella di un solo giorno. Certo il punto che fa la differenza è nel nostro rapporto con la paura. Il Signore Gesù ne parla con franchezza ai suoi discepoli e, già col fatto di parlarne, accetta che essa faccia parte della nostra vita e sia una delle emozioni più potenti capaci di deviare radicalmente il nostro cammino.

Il Signore lo dice una volta: <Non abbiate dunque paura di loro, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto> (10, 26). Lo ripete per la seconda volta: <E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno il potere di uccidere l’anima> (10, 28). E non ha timore di ripeterlo per la terza volta: <Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!> (10, 31). In pochi versetti il Signore Gesù è capace di mettere in chiaro le fonti della nostra paura: il timore di sbagliarsi, l’avversione davanti alla possibilità di soffrire, la mancanza di autostima. Allo stesso tempo, il Maestro ci offre gli antidoti alla multiforme paura che abita il nostro cuore: la certezza di essere conosciuti intimamente da Dio, la consapevolezza di non essere solo corpo ma anche anima, intesa come la somma di tutto ciò che dà al corpo la sua essenza e consistenza, il sentimento sicuro di valere non solo davanti a Dio ma di essere preziosi per lui. Se abbiamo questa consapevolezza, allora potremo infine acconsentire alla nostra vocazione di discepoli con la stessa decisione di Isaia: <Eccomi, manda me!> (Is 6, 8). 

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