Attendere… paragonare

II settimana T.A. –

Il salmo responsoriale ci riporta in modo esigente alla necessità quotidiana di verificare non senza talora analizzare quali sono le linee portanti della nostra esistenza. Se la nostra vita assomiglia per molti aspetti a quella di un <albero> (Sal 1, 3), allora è necessario che le nostre radici si stendano <lungo corsi d’acqua> per poter dare nella stagione giusta i frutti che si attendono da noi. All’albero non sono concessi molti capricci: è necessario che stia al suo posto e che cerchi di ottimizzare la sua posizione per vivere e, possibilmente, dare ombra e conforto a chi cerca rifugio e nutrimento sotto le sue fronde. Il salmista non si accontenta di soffermare la sua attenzione sull’albero bello e fecondo, ma mette sotto i nostri occhi anche ciò che potrebbe succedere ad un albero pigro o capriccioso che diventa <come pula che il vento disperde> (1, 4).

La reazione del Signore davanti alle pressioni a cui è sottoposto, con cui si cerca da più parti e in più modi di obbligarlo a rivelare se stesso in risposata alle attese degli uni e degli altri non raramente contrastanti comincia con queste parole interrogative: <A chi posso paragonare questa generazione?> (Mt 11, 16). La risposta è che ogni generazione non esclusa la nostra continuamente corre il pericolo di essere <simile a bambini>. I Vangeli ci attestano un grande rispetto e una rara benevolenza del Signore Gesù nei confronti dei piccoli e in particolare dei bambini, ma in questo caso la parabola evoca l’aspetto più pesante e insopportabile dei bambini che sono i capricci: quelle richieste di attenzione che non solo sono eccessive, ma che sono pure violente, imponendosi come centro di gravitazione universale insensibile a tutte le altre necessità e alle altre urgenze.

Il Signore oggi ci richiama a <paragonare> noi stessi a dei bambini capricciosi a cui non va bene niente, perché in realtà non sanno neppure di che cosa realmente hanno bisogno: <Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto!> (11, 17). La parabola viene usata dal Signore Gesù per stigmatizzare un modo assai dannoso di fare continuamente paragoni – in questo caso si mette a confronto la parola e il comportamento del Battista con quello di Gesù – senza mai lasciarsi interrogare fino ad aprirsi ad un ascolto così vero da produrre in noi una profonda conversione. Allora la parola del profeta Isaia non può che essere percuotente: <Se avessi prestato attenzione ai miei comandi, il tuo benessere sarebbe come un fiume, la tua giustizia come le onde del mare> (Is 48, 18). All’immagine dell’albero si accosta quella del fiume e del mare! Stabilità e movimento sono indispensabili perché la vita fluisca, sia accolta come dono e ridonata come frutto. Questo esige un salto di qualità, una crescita che da bambini, piccini e capricciosi, che pensano di avere diritto sempre a tutta l’attenzione, ci renda degli adulti attenti che sanno entrare in una relazione da cui accettano di essere interpellati fino ad esserne autenticamente cambiati. Mentre i giorni dell’Avvento preparano il cuore al Natale sempre più vicino, la Parola di Dio ci chiede di affinare la nostra capacità di ascolto perché non ci capiti di non riuscire a vedere niente in quel bambino che attendiamo e che, così piccolo, non ha niente di <piccino>.

Attendere… la risposta

II settimana T.A. –

L’Avvento è un tempo privilegiato per porsi e porre delle domande. Esso è pure il tempo in cui, umilmente e serenamente, rendiamo il nostro cuore disponibile e sensibile a trovare e ad accogliere delle risposte che, non raramente, rischiano di suscitare altre domane e di richiedere, comunque, nuove aperture. Il profeta ci rassicura: <Io, il Signore risponderò loro, io, Dio d’Israele, non li abbandonerò> (Is 41, 17). Se questa è la promessa di Dio attraverso il profeta Isaia, il Signore Gesù, proprio facendo riferimento al <più grande> tra <i nati di donna> che è il Battista, coglie l’occasione di ribadire come questa grandezza apra la strada al <più piccolo>. Con un tocco di magnifica evangelicità, il Signore riesce a dire, nello stesso tempo, che Giovanni e <più grande> senza omettere, anzi sottolineando ancora più radicalmente, che <il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui> (Mt 11, 11)

Se è vero che il dono di Dio supera ogni immaginazione e ogni desiderabilità, rimane ancora vero che il suo Regno perché possa irrompere nella nostra vita e in quella di ogni creatura ha bisogno della <violenza> (11, 12) della nostra domanda, del nostro vuoto, del nostro desiderio. Senza questa capacità di farci forza non sarebbe possibile in alcun modo forzare le logiche mondane che abitano sottilmente e in modo radicato le profondità del nostro cuore per andare oltre e aprirci ai segni che indicano la presenza del Regno già nelle nostre vite e nel tessuto delle nostre relazioni. Il salmista esorta caldamente: <Facciano conoscere gli uomini le tue imprese e la splendida gloria del tuo regno> e aggiunge con tono ammirato: <Il tuo regno è un regno eterno, il tuo dominio si estende per tutte le generazioni> (Sal 144, 12-13).

La memoria dell’incarnazione del Verbo cui l’Avvento ancora una volta prepara i nostri cuori, ci ricorda che il mistero di questo Regno si è fatto talmente piccolo da essere consegnato alle nostre mani fino ad essere come affidato interamente alla nostra cura. Lungi da noi pensare di poter testimoniare e annunciare la venuta del Regno di Dio in Cristo Gesù, dimenticando che questi si è fatto talmente piccolo da non poter essere annunciato se non come mezzi altrettanto piccoli. La parola del profeta ci fotografa in modo particolarmente autentico quando si rivolge a noi come a un <vermiciattolo> e come ad una <larva> (Is 41, 14). La nostra risposta al dono che il Padre ci fa in Cristo Gesù che si è fatto uno di noi fino a farsi meno di noi, è quella di accettare giorno dopo giorno di farci violenza per superare la tentazione della grandezza, del potere, dell’apparire, del voler essere più grandi e più potenti. La parola del Signore taglia corto con molti dei nostri alibi: <il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono> (Mt 11, 12). La posta in gioco è talmente alta che l’esortazione si fa particolarmente forte e attende una risposta adeguata e non rimandabile: <Chi ha orecchi, ascolti!> (12, 15).

Attendere… è dolce

II settimana T.A. –

Le parole del profeta e quelle del Signore Gesù risuonano come una vera e propria cospirazione perché il nostro cammino si faccia sempre più <dolce e leggero> (Mt 11, 30). Isaia ci mette di fronte ad una possibilità che può regalare alla nostra esistenza un senso di sollievo e di serenità: <quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi> (Is 40, 31). Dal canto suo Gesù invitandoci ad andare verso di lui non dimentica di accoglierci per quello che siamo senza escludere nessuno dei pesi della vita che ci gravano il cuore: <Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro> (Mt 11, 28). Il Signore non si accontenta di attirarci verso di Lui, ma ci promette di farsi carico di tutto ciò che portiamo dentro il cuore e nelle pieghe più riposte della nostra esistenza. Quando il cammino si fa oscuro e il peso lo si avverte come eccessivamente pesante, non è forse perché decidiamo di portare da soli il peso e di fare da soli – troppo isolati – il cammino?

La parola del profeta ci ricorda, invece, come e quanto i nostri cammini e i nostri pesi non siano per nulla estranei al Creatore: <Non temere, vermiciattolo di Giacobbe, larva di Israele; io vengo in tuo aiuto> (Is 40, 14). Perché potessimo sperimentare fortemente questo aiuto, il Verbo si è fatto carne, si è fatto uomo per aggiogarsi a noi e tirare con noi, per preparare al meglio i terreni della nostra vita a ricevere i semi della gioia, della pace, della serenità. Chi mai potrebbe immaginare, guardando il bambino che contempleremo nel presepio, che egli sia venuto per aiutarci nel grande lavoro di essere e diventare sempre più terreni fecondi di umanità? Eppure, la silenziosa presenza del bue e dell’asinello che, tra poco, metteremo in bella vista nei nostri presepi, ce lo ricordano in modo dolce e, allo stesso tempo, indimenticabile.

La disponibilità del Signore a farsi compagno di tribolazione e sostenitore di speranza, obbliga ad un serio e rigoroso discernimento per comprendere quando alle fatiche normali e imprescindibili della vita ne aggiungiamo, più o meno consciamente, di inutili e dannose. Mentre i nostri passi si avvicinano ad una rinnovata contemplazione del mistero di un Dio che si fa bambino, ci viene richiesto un passo ulteriore di lucidità su noi stessi assolutamente necessaria per compiere quei passi di carità cui siamo chiamati. Il primo passo sembra quello di accogliere il fatto di essere così spesso <stanchi e oppressi>. Il secondo passo è quello di accogliere di essere sollevati e confortati per poter, a nostra volta, confortare e sollevare in modo che per tutti si compia la profezia: <Farò scaturire fiumi su brulle colline, fontane in mezzo alle valli; cambierò il deserto in un lago d’acqua, la terra arida in zona di sorgenti> (Is 41, 18). Possiamo vivere questa giornata cullando dentro di noi la parola del salmista: <Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature> (Sal 144, 9).

Attendere… da piccoli

II settimana T.A. –

La Parola di Dio oggi ci raggiunge in uno dei bisogni più forti e più profondi che attraversa il nostro essere umani: il bisogno e il desiderio di essere cercati e continuamente ritrovati. Il Signore Gesù non esita a dichiarare con solennità: <Così è la volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda> (Mt 18, 14). Come i piccoli ogni tanto ci smarriamo e come loro attendiamo che qualcuno venga finalmente a cercarci. Talora ci perdiamo in un bicchier d’acqua soccombendo a tempeste e a drammi che sembrano sommergerci, fino ad inghiottire terribilmente la nostra vita. Altre volte, invece, ci nascondiamo allo sguardo amoroso di Dio creando una corazza di impenetrabili spine e di insuperabili muraglioni di funzionalità, di razionalità, di rispetto umano che, infine, ci condannano ad una penosa e difficilmente sopportabile solitudine. 

In tutto questo turbamento risuona la voce del profeta: <Ecco, il vostro Dio viene con potenza, il suo braccio esercita il dominio> (Is 40, 10). In realtà, non si tratta di un dominio di potenza, ma di una estrema compassione d’amore: <Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri> (40, 11). Il profeta ci fa contemplare l’attitudine divina nei confronti della nostra umanità che diventa per noi un modello di umanità. Questa divina attitudine alla cura ci fa sentire, a nostra volta, il bisogno e il dovere di farci carico di coloro che come noi – e talora più di noi – sono <piccoli> (Mt 18, 14) e rischiano di perdersi e di smarrirsi, senza neppure rendersene conto.

La domanda che il Signore Gesù pone ai suoi ascoltatori è fondamentale anche per ciascuno di noi: <Che cosa ve ne pare?> (18, 12). A questo interrogativo non si può che rispondere con il dono generoso e pieno della propria vita. Per cui non vale la pena dare una risposta troppo affrettata, ma lasciare che essa emerga <dolcemente> (Is 40, 11) e veramente dalla nostra capacità di sentirci piccoli e di farci attenti ai piccoli. L’Avvento aiutandoci a preparare la celebrazione del mistero dell’incarnazione ci riporta al mistero della piccolezza di Dio fattosi bambino per noi. In questo modo ci riconcilia con la nostra piccolezza e con quella dei nostri fratelli e sorelle in umanità aiutandoci – al contempo – a prendere le distanze da ogni forma di piccineria e di meschinità. La parola del profeta Isaia è per noi un vero balsamo che non solo lenisce ma pure rafforza la nostra fiducia in un Dio che ci guida senza costringersi a nulla, ma lasciando emergere da fondo del nostro cuore il meglio delle nostre intenzioni e delle nostre possibilità. La parabola del Signore Gesù infonde al nostro cuore un senso di dolcezza il cui intento non è solo quello di consolare il nostro cuore, ma pure di renderci un’immagine per gli altri della stessa cura e dello stesso amore preferenziale per i più piccoli.

Ritrovata innocenza

Immacolata Concezione 

La prima lettura ci porta lontano e, in realtà, non fa altro che aiutarci a leggere la realtà della nostra vita, quella che ci è più vicina e, per molti aspetti, persino intima. Il primo dialogo tra l’Altissimo e la nostra umanità è drammatico e tocca il punto dolente della nostra realtà di creature con cui, in realtà, facciamo così tanta fatica a riconciliarsi perché non ci riesce poi così facilmente di accettarci: <Chi ti ha fatto sapere che sei nudo?> (Gen 3, 11). Con questa domanda comincia la nostra storia di salvezza che, in realtà, è un lungo processo di ritrovata innocenza in cui lo scoglio da superare è proprio quel sentimento di <vergogna> che, dopo lo stupore commosso davanti alla donna creata, è la prima grande emozione della nostra umanità. Oggi festeggiamo il mistero di Maria, la madre del Signore che rimane, pur sempre, una nostra sorella in umanità. Le parole imbarazzanti con cui l’uomo si schermisce davanti all’Altissimo possono essere riaccolte quest’oggi con un sapore molto diverso: <La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato> (Gen 3, 12). In questo modo Adamo cerca di giustificarsi, ma, in realtà, riconosce di non aver capito che l’essere gli uni accanto agli altri è un’opportunità per discernere meglio cominciando a vedere meglio insieme <per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità… a lode dello splendore della sua grazia> (Ef 1, 4-6). 

A fronte del dialogo tra il Creatore e le sue creature nel giardino di Eden, rileggiamo il racconto di un altro dialogo: quello di Maria con Gabriele. L’atmosfera è completamente diversa perché il dialogo è sommamente franco e rappresenta per Maria un modo non per nascondersi davanti al desiderio di Dio, ma di aprirsi ad esso in tutta libertà e piena consapevolezza: <Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola> (Lc 1, 38). Maria accoglie e non subisce la volontà del Signore. Oggi contempliamo, in Maria, una possibilità che è di tutti noi ed è per tutti noi: possiamo ritrovare la nostra innocenza nella misura in cui accettiamo di misurarci con la nostra libertà e la esercitiamo fino in fondo. Come la promessa sposa di Giuseppe poniamo domande diventando così capaci di dare risposte senza dimenticare che siamo posti <accanto> gli uni gli altri per sostenerci e spronarci in questo cammino di umanizzazione ineludibile e appassionante.

Oggi proclamiamo Maria <concepita senza peccato originale> perché la sua libertà davanti a Dio, che la rende <serva del Signore> (Lc 1, 38), è capace di avvolgere la sua vita fin dalle sue radici. La <piena di grazia> (1, 28) è capace di accogliere la grazia che viene dall’Altissimo in modo così totale che dalle foglie della sua umanità in fioritura è capace di andare a toccare e sanare le sue radici intrecciate con la terra di tutta la nostra umanità… fino a risanarle: <nulla è impossibile a Dio> (1, 36) ma non senza di noi e mai contro di noi! La predestinazione che ha creato tante incomprensioni e sofferenze non è una negazione della nostra libertà, ma l’orizzonte – la lettera agli Efesini usa il termine prohorizô – in cui far navigare la nostra libertà fino al porto della sua piena realizzazione <accanto> a Dio e agli altri.

Alla fine, finalmente, Maria si riconosce nel progetto di Dio che è il suo da sempre: essere <serva del Signore> per questo non si nasconde, ma è nuda davanti a Dio nella verità e nell’audacia di essere se stessa fino in fondo, tanto da essere la donna adatta a rendere figlio della nostra umanità il Verbo eterno del Padre.

Attendere… accanto

II Domenica di Avvento 

Sono molte le immagini tratte dal mondo della natura che accompagnano la liturgia di oggi aiutando ciascuno di noi a varcare e a onorare questa seconda tappa del cammino di avvento. Il profeta Isaia ci parla dapprima di un <germoglio> e ci dice che esso <spunterà dal tronco di Iesse> (Is 11, 1). Davanti a questa immagine possiamo pensare a noi stessi come a dei tronchi chiedendoci se portiamo ancora nel profondo del nostro cuore la minima speranza che ancora la nostra vita possa germogliare aprendosi a rinnovata segni ed espressioni di vita. Troppo spesso rischiamo di confondere l’appello e il dovere costante e incessante della conversione con una sorta di diminuzione della vitalità. In realtà è esattamente il contrario: il dinamismo della conversione comincia sempre con una fase di purificazione che non ha niente a che vedere con l’idea di mortificazione bensì è un modo per estirpare tutto ciò che impedisce l’insorgere di nuovi percorsi e di rinnovati cammini. Proprio come si fa in primavera, quando si comincia a ripulire l’orto da tutte le sterpaglie per poterlo riseminare. Così possiamo accogliere la parola conclusiva del vangelo di questa domenica come una grande promessa e non come una minaccia che ci impaurisce e ci fa scappare: <Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile> (Mt 3, 12).

All’immagine vegetale, il profeta Isaia ne accosta una animale! L’accoppiamento di alcuni animali, che in natura sono accomunati dalla minaccia degli uni e dal timore degli altri, diventa per il profeta il modo per annunciare un’era nuova che viene espressa da due termino che fanno tutta la differenza: <accanto> e <insieme>! Si legge che <il leopardo si sdraierà accanto al capretto> e si aggiunge che <il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà> (Is 11, 6). Al colmo della visione e della speranza si dice che <il lattante si trastullerà sulla buca della vipera; il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso> (11, 8). Vi è un’immagine giocosa che dice bene che cosa il Regno di Dio è capace di portare come dono alla nostra storia di uomini. È come se finalmente tutti possiamo permetterci di tornare a quello stato di innocenza che è la mancanza di paura gli uni degli altri. Gli zoologi dicono che gli animali sanno riconoscere i piccoli delle altre specie e normalmente li rispettano.

Questo forse non è sempre vero, ma rimane assolutamente vero che il nostro Dio nel mistero della sua incarnazione non solo si mostra sensibile ai piccoli, ma si è fatto lui stesso così piccolo da metterci in condizione di prenderci cura di lui affidandosi alle nostre mani. L’annientamento di Dio non fa che aprire la nostra umanità ad un addomesticamento che permette di vivere ciò cui invita pressantemente l’apostolo: <Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio> (Rm 15, 7). Un Dio che si è fatto <servitore> (15, 8) ci permette di vivere gli uni <accanto> agli altri senza rinunciare alla nostra “specie” – ognuno ha una sua “animalità” caratteristica – senza che questa minacci la vita degli altri, anzi se ne fa custode. A partire da queste suggestioni cerchiamo di accogliere ancora una volta l’invito: <Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino> (Mt 3, 2) a condizione che sappiamo vivere <accanto> e <insieme>.  

Attendre… auprès

II Dimanche de l’Avent –

Elles sont nombreuses les images traitant du monde de la nature qui accompagnent la liturgie d’aujourd’hui, aidant chacun de nous à franchir et honorer cette seconde étape du chemin de l’Avent. Le prophète Isaïe nous parle d’abord d’un « rameau » et nous dit qu’il «  sortira du tronc de Jessé  » ( Is 11,1 ). Face à cette image nous pouvons penser à nous-mêmes semblables à des troncs et nous demander si nous portons encore au plus profond de notre coeur la plus petite espérance que notre vie puisse à nouveau germer s’ouvrant et se renouvelant en petits signes et expressions de vie. Nous risquons trop souvent de confondre l’appel et le devoir constant et incessant de la conversion avec une sorte de diminution de vitalité. En réalité, c’est exactement le contraire : le dynamisme de la conversion commence toujours par une phase de purification qui n’a rien à voir avec l’idée de mortification, bien qu’elle soit une façon d’extirper tout ce qui empêche le jaillissement de nouveaux parcours et de chemins rénovés. Tout comme au printemps, lorsque l’on commence à nettoyer le jardin de toutes les mauvaises herbes pour pouvoir l’ensemencer. Ainsi nous pouvons accueillir la parole qui conclut l’évangile de ce dimanche comme une grande promesse et non comme une menace qui nous fait peur et nous fait fuir : «  Il tient en main la pelle à vanner et va nettoyer son aire ; il recueillera son blé dans le grenier, mais brûlera la paille au feu  qui ne s’éteint pas » ( Mt 3, 12 ).

A l’image végétale, le prophète Isaïe y ajoute  connotation animale ! L’accouplement de certains animaux qui, de nature, sont accoutumés à la menace des uns et à la terreur des autres, devient, pour le prophète, la façon d’annoncer une ère nouvelle qui s’exprime par deux mots qui font toute la différence : «  auprès » et «  ensemble » ! On lit que «  le léopard  s’allongera auprès du cabri » et l’on ajoute que «  le veau et le lionceau paîtront ensemble et un petit enfant les guidera » ( Is 11, 6 ). Au comble de la vision et de l’espérance, l’on dit que «  le nourrisson s’ébattra sur le trou de la vipère et l’enfant mettra sa main  dans le repaire du serpent venimeux » ( 11,8 ). C’est une image enjouée qui dit bien ce que le Royaume de Dieu est capable d’apporter comme dons à notre histoire d’hommes. C’est comme si, finalement tout le monde pouvait se permettre de retourner à l’état d’innocence qui est l’absence de peur des uns les autres. Les zoologistes disent que les animaux peuvent reconnaître les petits des autres espèces et que, normalement, ils les respectent.

Ceci n’est peut-être pas toujours véridique, mais, il demeure absolument vrai que notre Dieu, dans le mystère de son incarnation se montre, non seulement sensible aux petits, mais s’est fait lui-même petit jusqu’à se mettre en condition de se fier à nos mains pour que nous prenions soins de Lui. L’anéantissement de Dieu ne fait qu’ouvrir notre humanité à une domestication qui permet de vivre ce à quoi nous invite justement l’apôtre : «  Accueillez-vous les uns les autres comme le Christ aussi vous accueille pour la gloire de Dieu » ( Rm 15, 7 ). Un Dieu qui s’est fait «  serviteur » ( 15, 8 ) nous permet de vivre les uns «  auprès » des autres sans renoncer à notre «  spécificité » – chacun a son «  animalité » caractéristique – sans que celle-ci menace la vie des autres, elle en devient même la gardienne. A partir de ces suggestions, essayons d’accueillir encore une fois l’invitation : «  Convertissez-vous, car le Royaume des cieux est proche » ( Mt 3, 2 ), à condition que nous sachions vivre «  auprès » et «  ensemble ».

Attendere… con efficacia

I settimana T.A. –

La promessa del Signore Dio ci raggiunge attraverso la parola del profeta ed è una parola che potremmo definire come di speranza operosa. Da una parte il profeta ci sostiene e ci conforta: tu non dovrai più piangere. A un tuo grido di supplica il Signore ti farà grazia; appena udrà, ti darà risposta> (Is 30, 19). Dall’altra ci sprona a rimanere saldi e a testimoniare una speranza più grande di noi stessi persino nel tempo in cui il Signore ci nutrirà con <il pane dell’afflizione> e con <l’acqua della tribolazione> (30, 20). Tutto ciò dovrebbe renderci sempre più capaci di accompagnare il cammino dei fratelli diventando per ciascuno di loro nelle situazioni più difficili e strane della vita, delle icone viventi della sua <compassione> (Mt 9, 36). Mentre la tentazione è di guardare il mondo e, soprattutto, le persone con sentimenti di disapprovazione e talora persino di timore, il Signore ci insegna ad aprire gli occhi del cuore al fine di comprendere tutte le persone che sono, in realtà anche se in modi diversi e talora difficili da decifrare, <stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore>. Il Signore ci dà un avvenire e questo avvenire è la relazione con lui che amplifica le possibilità della vita.

La nostra tentazione è quella di farci pastori quando invece siamo semplicemente chiamati a testimoniare il nostro essere pecore guidate e amate da un unico, il solo Pastore grande e bello. La parola di consegna con cui concludiamo questa prima settimana di Avvento suona così: <Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date> (10, 8). E le parole con cui la Chiesa ci fa oggi salire verso l’altare ci aiutano a comprendere che cosa questo possa significare: <l’offerta di questo sacrificio, che attua il mistero da te istituito, con la sua divina potenza renda efficace in noi l’opera della salvezza> (Orazione sulle offerte). Si tratta di rendere efficace lo sguardo compassionevole che il Signore Gesù pone su di noi e sull’umanità tutta ed è uno sguardo capace di scorgere i segni della bellezza e della bontà. 

Una parola del papa Giovanni Paolo II può aiutarci a dare un contenuto più preciso agli inviti che il Signore ci fa attraverso la sua parola: <Dio sta preparando una grande primavera cristiana, di cui già si intravede l’inizio. Difatti, sia nel mondo non cristiano come in quello di antica cristianità, c’è un progressivo avvicinamento dei popoli agli ideali e ai valori evangelici, che la chiesa si sforza di favorire. Oggi, infatti, si manifesta una nuova convergenza da parte dei popoli per questi valori: il rifiuto della violenza e della guerra; il rispetto della persona umana e dei suoi diritti; il desiderio di libertà, di giustizia e di fraternità; la tendenza al superamento dei razzismi e dei nazionalismi; l’affermazione della dignità e la valorizzazione della donna>1. Davanti a questo non possiamo che fare nostre le parole esultanti del salmista: <E’ bello cantare inni al nostro Dio, è dolce innalzare la lode> (Sal 146, 1). Un piccolo grande passo in questo nostro preparare il cuore alla visita del Verbo consiste proprio nel saper valorizzare i segni della sua presenza in mezzo a noi con amore ed efficacia cosicché per tutti si compia la promessa: <i tuoi occhi vedranno il tuo maestro> (Is 30, 20).


1. GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Missio, 86.

Attendere… nell’estrema povertà

I settimana T.A. –

Ancora una volta ci lasciamo introdurre nella meditazione delle letture dalle parole della preghiera della Liturgia di quest’oggi. Mentre si preparano e presentano i doni così prega il presidente <all’estrema povertà dei nostri meriti supplisca l’aiuto della tua misericordia>. E possiamo ben immaginare quale esperienza di <estrema povertà> sperimentano quei due ciechi che si accostano al Signore Gesù <gridando> (Mt 9, 27). Si compie così la promessa del profeta: <liberati dall’oscurità e dalle tenebre gli occhi dei ciechi vedranno> (Is 29, 18). Vivere questo tempo di Avvento come ambito di rinnovata speranza significa attraversarne i giorni come una presa di coscienza di tutto ciò che, nella nostra vita, rischia di imprigionare la vita che il Signore ha posto in noi come seme. Il nostro cuore è – o almeno è chiamato ad essere – un piccolo <Libano> che, secondo la parola di Isaia, <si cambierà in un frutteto e il frutteto sarà considerato una selva> (29, 17).

Un testo di Henri Huvelin, il padre spirituale di fr Charles de Foucauld, ci rammenta che questo tempo<è una preparazione per accogliere colui che deve venire e in cui l’anima – conscia della sua miseria – si volge al suo Signore per ricevere una parte di Misericordia. Così si vive nell’attesa di vedere sempre di più e meglio>1. Per questo non possiamo che fare nostro il grido accorato di questi due ciechi: <Figlio di Davide, abbi pietà di noi> (Mt 9, 27). Come non sottolineare che la reazione del Signore a questa richiesta non riguarda la sua potenza e meno ancora la sua onnipotenza ma ci richiede un attento esame della nostra fede che sola rende possibile al Signore di agire nella nostra vita. Senza questo varco è come se la Misericordia rimanesse <alla porta> (Is 29, 21) senza mai poter entrare nella casa della nostra vita. Il Signore vuole che i nostri occhi vedano, ma questo è legato alla nostra volontà di non chiudere le orecchie diventando così <sordi> (29, 18): se così fosse a nulla varrebbe il suo desiderio di amarci e di salvarci. Di fatto non c’è niente di più semplice come il guardare, ma è ancora più semplice l’ascoltare perché se gli occhi hanno le palpebre gli orecchi sono sempre e solo aperti. 

Eppure, se è così facile guardare talora è molto difficile vedere e tutta la vita è come un lento apprendistato della visione fino a poter contemplare Dio gli occhi negli occhi. Ciò sarà possibile solo come frutto della preghiera e dell’incontro con il Signore Gesù da cui possiamo sperare di avere un poco del suo sguardo su Dio, sul mondo, su noi stessi… un modo di guardare capace di vedere persino attraverso e oltre la nostra – e non solo nostra – <estrema povertà>. In questa nostra povertà riconosciuta e offerta può germinare la fede. L’ingiunzione finale di Gesù: <Badate che nessuno lo sappia> (Mt 9, 30) ci ricorda che la guarigione non è una “notizia” da diffondere bensì un’esperienza da vivere e da vivere in prima persona. Sapere e far sapere è cosa assai semplice, credere e far credere è ben altra cosa. La domanda posta da Gesù ai due ciechi rimane alla base di ogni esperienza di guarigione: <Credete che io possa fare questo?> (9, 28). Prima di andare in giro a dire ai quattro venti che Gesù è capace di questo o di quello, è necessario rispondere personalmente e appassionatamente a questa domanda… che è per noi.


1. H. HUVELIN, Le regard du Christ, Fayard, Paris 1960, p. 115.

Attendere… dalle fondamenta

I settimana T.A. –

La parola del profeta Isaia che apre la liturgia di oggi è un canto di esultanza: <Abbiamo una città forte; mura e bastioni egli ha posto a salvezza> (Is 26, 1). Un’esortazione di Origene ci può accompagnare lungo questa giornata: <Per questo motivo, prima che la tempesta si scateni, prima che soffino le raffiche di vento e i torrenti si gonfino, mentre ancora tutto è nel silenzio, dedichiamo ogni cura alle fondamenta della costruzione, eleviamo la nostra casa con le molteplici e solide pietre dei comandamenti di Dio>1. L’invito che il Signore oggi fa a ciascuno di noi è quello di prendersi cura di ciò che fonda la nostra vita permettendole di affondare le sue radici e le sue fondamenta nel mistero di Cristo a cui siamo chiamati ad aprire, anzi a spalancare, le <porte> (26, 2) della nostra vita. La <città forte> di cui parla il profeta può essere quella in cui si sperimenta la protezione amorevole di Dio ma può diventare – e su questo siamo chiamati a vigilare con attenzione e cura – anche la cittadella del nostro orgoglio e del nostro egoismo. Le due città possibili del profeta Isaia sono il frutto di due modalità possibili di essere discepoli e di cui ci parla il Signore stesso nella parabola: costruire sulla sabbia o sulla roccia.

Il segno della solidità della città interiore e della sua corrispondenza al disegno e al desiderio di Dio sta nel fatto che le porte di questa città sono aperte perché in essa – speriamo che ciò possa valere per ciascuno di noi – abita quella <pace> che è frutto di una profonda fiducia di cui si mostra capace solo e sempre <chi in te confida> (26, 3). Quest’oggi il nostro cammino di Avvento è chiamato a fare una sorta di salto di qualità ben significato dalla parola del Signore Gesù che – al cuore del discorso programmatico della montagna – attira la nostra attenzione sul fondamentale e fondante principio di una fedeltà e discepolanza che non siano teoriche, ma che sappiano tradursi in una pratica generosa e crescente: <Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli> (Mt 7, 21). Così ci viene svelato che le fondamenta della nostra casa devono affondare nei <cieli> di Dio e non nella paludosa terra dei nostri incerti egoismi.

Alla fine del suo vangelo, Matteo ci riporterà a questo confronto ineludibile con la capacità di dare carne e corpo alla nostra ricerca di Dio e saranno <i più piccoli> (Mt 25, 40. 45) e la nostra sensibilità nei loro confronti a rappresentare il criterio di discernimento della sua volontà. Allora non ci resta che affondare le radici della nostra sequela e posare le fondamenta del nostro desiderio nella quotidiana compagnia dei poveri che ci aprono le vie del regno dei cieli. Tutto ciò che in noi si oppone alla piccolezza e all’umiltà non fa altro che edificare quella città fantasma che non ha futuro perché appiattita su se stessa: <i piedi la calpestano: sono i piedi degli oppressi, i passi dei poveri> (Is 26, 6).


1. ORIGENE, Omelie su Luca, 26, 5.