Attendere… radunarsi

III settimana T.A. –

Cominciamo il cammino dell’ultima parte di questo Avvento ritmato dalle invocazioni “O” che dicono tutto il desiderio della Chiesa di preparare il proprio cuore alla ri-accoglienza della carne di quel Verbo che ancora si fa carne e chiede di essere riconosciuto e accolto come l’ospite di riguardo non perché possa imporsi, ma per la sua fragilità e debolezza che onora la nostra umanità. Le parole che Giacobbe rivolge ai suoi figli raccolti attorno al suo letto di morte possono intonare, come fosse un canto, la nostra marcia di avvicinamento al Natale: <Radunatevi e ascoltate, figli di Giacobbe> (Gn 49, 2). Questo tempo di preparazione può essere dunque ritmato da due desideri fondamentali: radunarsi e ascoltarsi! Non è forse questo il simbolo più forte e commovente di questi giorni in cui ci scambiamo gli auguri e cerchiamo di preparare al meglio gli appuntamenti natalizi in cui cerchiamo, in tanti modo, di radunarci per ascoltarci? Le parole che Giacobbe rivolge ai suoi figli richiedono non solo di radunarsi e di ascoltarsi, ma di fondare questa operazione di reciproca accoglienza su un fondamento: <ascoltate Israele, vostro padre!>. Per ritrovarsi in verità e regalarsi reciprocamente un momento di ascolto autentico, è necessario fare memoria di ciò che ci ha preceduto, in modo da fare della nostra vita non un assoluto, ma l’espressione di una generazione che esige memoria del passato e fiducia nel futuro.

In questa prospettiva la lettura della <Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo> (Mt 1, 1) ci obbliga a vivere un momento di memoria in cui la cascata dei nomi ci permette di sentire il fiume della vita che passa attraverso di noi senza fermarsi con noi. Matteo ci offre tre grandi sezioni della storia che sembra portare dentro di sé il desiderio di fare posto ad altro diventando un seno accogliente e provvido per l’incarnazione del Verbo che culmina in quel <Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo> (1, 16). Le nostre generazioni umane, segnate da momenti gloriosi e da episodi alquanto tristi come l’evocazione del sacrificio di <Urìa> (1, 6), fanno posto alla divina generazione del Verbo eterno del Padre che prende dimora tra di noi e si fa uomo per noi.

La Liturgia ci mette di fronte alla necessità di non dimenticare, senza per questo diventare prigionieri del passato. Perché la vita si manifesti e maturi è necessario accogliere la legge della generazione cui si è sottomesso lo stesso Verbo di Dio. Generare diventa il primo passo per riconoscersi come parte di un mistero che ci è donato e di cui siamo responsabili. Se da una parte l’aspirazione suprema di Dio è quella di generare, il nostro desiderio più grande deve diventare quello di essere generati alla figliolanza divina accettando la gestazione interiore di cui è artefice lo Spirito che ci è stato donato come caparra e come sigillo della nostra dignità e della nostra vocazione. La nostra generazione divina avviene per noi come per il Cristo: nel bel mezzo di quella storia di salvezza e di sventura che contrassegna ogni storia non esclusa quella della carne del Verbo. Maria, la sposa di Giuseppe, è la quinta donna e il cinque è il numero di Venere, la dea dell’amore, il principio sempre possibile perché la vita vada avanti e possa diventare più piena. La domanda di Giacobbe esige una risposta: <chi lo farà alzare?> (Gen 49, 9). Il Cristo si leverà ancora nella nostra storia nella misura in cui gli lasceremo spazio prima di tutto nella nostra intimità come fece Maria, come fece Giuseppe il cui legame e ascolto reciproco crebbero nel momento in cui Gesù cominciò ad essere tra loro come dono e come responsabilità. Così il passato diventa passaggio per il futuro che riempie di luce il presente.

Attendere… lavorare

III settimana T.A. –

Una parabola ci viene oggi raccontata per aiutarci a prendere una decisione importante per la nostra vita di discepoli: <lavorare> (Mt 21, 28). In una cultura sempre più ossessionata dal tempo libero e dalla continua programmazione delle vacanze, siamo riportati alla realtà di una vita che non si qualifica per il tempo che ci lascia libero, ma a partire dal modo in cui siamo impegnati a fare del tempo e dello spazio, in cui viviamo, una vera partecipazione all’opera del Creatore. Pertanto, il Signore Gesù ci ricorda pure che compiere <la volontà del padre> (21, 31) non si limita a dare una “bella risposta” teorica che cerchi di non deludere e di non contraddire, ma è qualcosa che esige delle scelte concrete di vita ed è impastata con la nostra vita per quella che è nella realtà e non per quello che ci piacerebbe fosse nel nostro immaginario.

Il primo grande messaggio che ci viene dato dal Signore Gesù è quello della libertà di poter dire senza paura e con una certa sfrontatezza: <Non ne ho voglia> (21, 29). A questa reazione così adolescenziale del primo dei due figli, non corrisponde da parte del padre nessuna punizione e nemmeno un rimprovero. Sembra proprio che il padre proponga a ciascuno dei suoi figli un percorso nella piena libertà che essi vi aderiscano o meno senza nessun timore di essere né disapprovati né tantomeno puniti. In questo il Padre dei cieli, il Padre di tutti, l’unico Signore e Creatore viene rivelato dal Figlio – primogenito ed unigenito – come completamente diverso dall’atteggiamento dei capi dei sacerdoti e dagli anziani del popolo spesso preoccupati di salvare le apparenze e di giudicare gli altri a partire dalle apparenze per giustificare sempre più ampiamente se stessi.

Le cose, ci ricorda il Signore Gesù, non stanno così e rischiano proprio di essere al contrario di quello che noi pensiamo, immaginiamo e, forse, sottilmente desideriamo per sentirci un po’ migliori: <In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio> (21, 31). Il salmo ci aiuta a comprendere la ragione profonda di questa verità: <il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato, egli salva gli spiriti affranti> (Sal 33, 19). Il segreto e la bellezza della nostra relazione con Dio sono racchiusi in quel misterioso e intimissimo istante in cui il figlio che è dentro di noi <si pentì e vi andò> (Mt 21, 29). Essere parte di quel <popolo umile e povero> (Sof 3, 12) di cui parla il profeta Sofonia significa, infatti, accogliere la <correzione> (3, 2) senza paura e senza <vergogna> (3, 11). Significa <lavorare nella vigna> (Mt 21, 28) del proprio cuore con coraggio e impegno, ma non in modo servile. Risuona severa e dolcissima l’esortazione di un Padre della Chiesa: <Sia chiara la tua condotta di convertito! Tu che hai preferito l’umano al divino, che hai voluto essere schiavo del mondo piuttosto che vincitore del mondo col Signore del mondo, convertiti. Tu che hai perso la libertà che ti avrebbero dato le virtù perché ti sei sottoposto al giogo del peccato, convertiti; convertiti davvero tu che, per paura di possedere la Vita, ti sei consegnato alla morte>1.


1. PIETRO CRISOLOGO, Discorsi, 167.

Attendere… in modo penetrante

III settimana T.A. –

La figura di Balaam apre questa seconda parte del cammino di Avvento che, ben presto, sembrerà affrettare la sua corsa con le ferie maggiori e il canto delle Antifone “O” con la cui carica poetica l’invocazione del Salvatore si farà ancora più intensa. Balaam viene definito <uomo dall’occhio penetrante> (Nm 24, 3) e in questo senso è una prefigurazione o una delle incarnazioni di quello spirito profetico che si manifesterà in modo così particolare nella figura del Battista che prepara immediatamente la strada al Salvatore. L’evocazione di Balaam diventa per ciascuno di noi una sorta di appello ad affinare lo sguardo del nostro cuore per renderlo capace di una lettura della realtà che sia così penetrante da cogliere ogni cosa nella sua più profonda verità. Questo lavoro interiore di comprensione permette di diventare capaci di dare generosamente il proprio contributo alla maturazione della storia fino a riversarsi, in modo del tutto naturale, nella vita stessa di Dio. I <capi dei sacerdoti> sono così preoccupati da sembrare quasi ossessionati dalla questione del potere che si esprime nella definizione chiara e precisa dei confini e dei modi di esercizio dell’<autorità> (Mt 21, 23).

Con la sua risposta, apparentemente evasiva e sostanzialmente innovativa, il Signore Gesù ci chiede di crescere nella capacità di guardare le cose, gli avvenimenti, le persone, gli eventi cercando di andare all’essenziale delle situazioni. Perché ciò si possa realizzare per e nella nostra vita si richiede una generosa disponibilità a lasciarsi continuamente destabilizzare e rinnovare: <Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?> (21, 25). Davanti a questa domanda che ai notabili sembra un trabocchetto, in realtà pur presentandosi come intelligenti non riescono a rispondere. O meglio, rispondono in modo così evasivo da rivelarsi prigionieri della loro <paura> (21, 26). Si tratta della paura paralizzante di perdere il loro prestigio e i loro privilegi. Tutto ciò li rende ciechi al contrario del profeta pagano che non ha nessuna paura di leggere e interpretare il reale anche quando si rivela diverso da tutto ciò che ci si aspettava a ci si augurava: <cade e gli è tolto il velo dagli occhi. Come son belle le tue tende Giacobbe, le tue dimore, Israele!> (Nm 24, 5).

Come Balaam e come il Battista siamo chiamati a riprendere ogni giorno la strada, il cammino, la ricerca che significa aprirci ad una conoscenza più acuta e penetrante delle nostre tenebre (passioni disordinate, tristezze, collere…) che la paura rende ancora più spesse e impenetrabili. Solo così potremo lasciarci toccare dalla luce che sorge e amerebbe inondarci, ma non senza il nostro consenso. Balaam come Giovanni sanno rischiare la loro stessa vita per essere fedeli a ciò che vedono e sentono senza cadere nella trappola dei notabili del popolo che, invece, tradiscono il loro cuore per salvaguardare le loro catene dorate che li tengono prigionieri di se stessi.

Attendere… domandare

III Domenica di Avvento 

In questa terza domenica di Avvento, in cui il colore violaceo cede le sue tinte forti ad un più tenue rosaceo, se la gioia per la venuta – sempre più prossima – del Signore non può che rallegrare i cuori, nondimeno non si può certo abbassare la guardia anzi, sono tante le domande che ci vengono poste attraverso i testi della Scrittura scelti per questa domenica. Siamo molto toccati e interrogati dalla domanda del Battista che, di certo, ci sorprende non poco: <Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?> (Mt 11, 3).Pertanto se ci lasciamo veramente e profondamente raggiungere e interrogare dai testi, allora le domande che più ci riguardano sono quelle poste dal Signore Gesù,  a cui egli stesso dà una risposta assai importante e con cui siamo chiamati a misurare tutta la nostra vita: <Sì, io vi dico, anzi più che un profeta> (11, 9). Il Signore Gesù rivolge alle folle sei domande riguardanti il Battista, mentre i suoi discepoli ritornano al <carcere> (11, 2) in cui il profeta è ormai rinchiuso, prossimo alla morte. Queste domande toccano il cuore del Vangelo che è il Signore Gesù: la risposta è ben oltre ogni domanda, il compimento ben oltre ogni attesa! 

Di fatto il Signore è già venuto e continua a venire proprio come un seme che è già posto nella terra e pure rimane invisibile a tutti, meno che all’<agricoltore> (Gc 5, 7) che lo ha seminato. Ciò che viene richiesto ora a ciascuno di noi, è di fare spazio a ciò che il Signore è dentro di noi come promessa e come certa speranza. Così le domande che il Signore pone alla folla circa l’identità del Battista ci rivelano cosa, la presenza di Gesù in mezzo a noi, mette in gioco e – necessariamente – mette in crisi: <Ecco quelli che si vestono di lusso stanno nei palazzi dei re!> (Mt 11, 8). Ormai, oltre la metà del cammino di Avvento, siamo invitati a fare il punto sul nostro modo di attendere e di desiderare, per comprendere in che misura attendiamo e desideriamo per noi stessi o per gli altri. La risposta sottilmente data senza essere indirizzata a Giovanni è quella per cui non si tratta di chiedersi se bisogna <aspettare un altro> (11, 3), ma se bisogna “aspettare altro” da ciò che da sempre si aspetta.

Con Giovanni chiuso in carcere e con il seme posto nella terra e che aspetta <le prime e le ultime piogge> (Gc 5, 7) questo tempo ci è dato come cifra di tutta la nostra vita. Mentre infatti attendiamo, le nostre stesse attese si convertono e si approfondiscono così tanto che ci rallegriamo del fatto che <ai poveri> sia annunciato <il Vangelo> (Mt 11, 5) in modo gratuito e incondizionato senza che questo rappresenti per noi <motivo di scandalo!> (11, 6). L’immagine del profeta riguarda e tocca la nostra stessa vita: <Come fiore di narciso fiorisca…> (Is 35, 2). Ora non c’è mai un fiore che sia identico ad un altro, mentre i semi sembrano veramente tutti uguali e persino facilmente confondibili tra loro. Mentre il cammino verso un rinnovato Natale si fa più spedito, le domande si fanno più urgenti: il rischio più grave, infatti, sarebbe quello di non riconoscere – già nelle domande – l’abbozzo delle risposte più giuste.

Attendre… s’enquérir

III Dimanche de l’Avent –

En ce troisième dimanche de l’Avent, où la couleur violette cède ses teintes vives à un rose plus tendre pour célébrer la joie de la venue – toujours plus proche – du Seigneur qui ne peut que réjouir les coeurs, l’on ne peut pourtant pas abaisser la garde, tant les questions qui nous sont posées traversent les textes choisis par les écritures ce dimanche sont nombreuses. Nous sommes très touchés et interrogés par la question de Jean Baptiste qui, certainement, nous surprend un peu : «  Est-ce toi celui qui doit venir ou devons-nous en attendre un autre ? » (Mt 11, 3). Pourtant, si nous nous laissons vraiment et profondément rejoindre et interroger par les textes, alors, les questions qui nous intéressent le plus sont celles posées par le Seigneur Jésus, auxquelles lui-même donne une réponse assez importante et auxquelles nous sommes appelés à confronter toute notre vie : «  Si, je vous le dis, même plus qu’un prophète » (11, 9). Le Seigneur Jésus adresse aux foules six questions concernant Jean Baptiste, pendant que ses disciples retournent à la «  prison » où le prophète est désormais enfermé, condamné à mort. Ces questions touchent le coeur de l’évangile qui est le Seigneur Jésus : la réponse va bien au-delà de toute question, son accomplissement bien au-delà de toute attente !

En effet, le Seigneur Jésus est déjà venu et continue de venir tout comme une semence déjà enfouie dans la terre qui reste invisible à tous, sauf à «  l’agriculteur » qui l’a semée. Ce qui est demandé maintenant à chacun de nous, c’est de faire une place au Seigneur, à l’intérieur de nous, comme une promesse et une espérance certaine. Ainsi les questions que le Seigneur pose à la foule concernant l’identité de Jean Baptiste nous révèlent ce que la présence de Jésus au milieu de nous, met en jeu et – nécessairement – en doute : «  Mais ceux qui portent des vêtements de luxe se trouvent dans les palais de roi ! » (Mt 11, 8). Désormais, à plus de la moitié du chemin de l’Avent, nous sommes invités à faire le point sur notre façon d’attendre et de désirer, pour comprendre dans quelle mesure nous attendons et désirons pour nous-mêmes ou pour les autres. La réponse, délicatement donnée à Jean, sans être indiquée, est celle par laquelle il ne s’agit plus de se demander s’il faut en «  attendre un autre » (11, 3), mais, s’il faut «  attendre autre chose » que ce que l’on attend toujours.

Avec Jean enfermé en prison et avec la semence enfouie en terre qui attend «  les premières et dernières pluies » (Jc 5, 7), ce temps nous est donné comme référence pour toute notre vie. En effet, pendant que nous attendons, nos propres attentes se convertissent et s’approfondissent tellement que  nous nous réjouissons du fait que l’« évangile » soit annoncé «  aux pauvres » (Mt 11, 5), de façon gratuite et inconditionnelle, sans que cela représente pour nous un «  motif de scandale » ! (11,6). L’image du prophète concerne et touche notre propre vie : «  Comme une fleur de narcisse fleurit… » (Is, 35,2). Pourtant il n’y a jamais de fleur identique à une autre, alors que les semences semblent vraiment toutes égales et même facilement identiques entre elles. Alors que le chemin vers un Noël renouvelé se fait rapide, les questions deviennent plus urgentes : en fait, le risque le plus grave, serait celui de ne pas reconnaître – déjà dans les questions – l’esquisse des réponses les plus justes.

Attendere… prima

II settimana T.A. –

Non dobbiamo dimenticare il contesto particolare in cui si pone la domanda posta dai discepoli al loro Maestro: <Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elia?> (Mt 17, 10). Stiamo scendendo dal monte della trasfigurazione per continuare il cammino verso Gerusalemme. La risposta alla domanda dei discepoli è tanto chiara quanto enigmatica: <Sì, verrà Elia e ristabilirà ogni cosa. Ma io vi dico: Elia è già venuto e non l’hanno riconosciuto> (17, 11). Nel cammino dei discepoli questo dialogo è molto importante! La parola che il Signore Gesù ci rivolge attraverso il Vangelo è importante anche per noi! Prima di tutto si tratta di rivedere le nostre categorie con cui siamo soliti abitare e ritmare il tempo: il riferimento ad un prima e a un dopo hanno senso solo per quello che ci permettono di vivere, e soprattutto di scegliere, nel momento presente facendo di ogni attimo della vita un luogo di accoglienza e di esperienza dell’eternità. Questo esige una continua vigilanza e una puntuale conversione di quelle che sono le nostre urgenze ritrovando continuamente l’orientamento sicuro della nostra vita che rende il nostro cammino di creature non un semplice vagare tra tempi e spazi sconosciuti, ma un vero processo di crescita ritmato da un serio inanellarsi di scelte libere e responsabili.

Nella catechesi del Signore Gesù sembra proprio che il primo passo per vivere tutto questo sia quello di scendere da ogni monte di trasfigurazione per assumere la pianura della realtà quotidiana e i combattimenti di ogni giorno: <anzi, hanno fatto di lui quello che hanno voluto. Così anche il Figlio dell’uomo dovrà soffrire per opera loro> (17,12). Questa seconda settimana di Avvento si conclude con una sorta di visione che fa intravedere dietro la grotta di Betlemme già la collina del Golgota e, alla luce della stella cometa, già possiamo indovinare l’ombra della croce. L’evocazione di Elia ci riporta alla necessità di fare ordine nel nostro stesso cuore tra esigenze e urgenze diverse per aprirci all’accoglienza di una parola che ci richiama all’essenziale: <tu sei stato designato a rimproverare i tempi futuri, per placare l’ira prima che divampi, per ricondurre il cuore del padre verso il figlio> (Sir 48, 10). A partire da questo testo sapienziale sembra proprio che lo spazio più adeguato ad accogliere il Signore sia quello di relazioni riconciliate e profondamente evangelizzate per essere purificate da ogni forma di egoismo e di paura. Come Gesù sul Tabor, trasfigurato in una comunione raggiante con Mosè ed Elia, così anche noi siamo chiamati a creare uno spazio di ritrovata armonia in cui possa rivelarsi la stessa gloria di Dio capace di <soffrire> (Mt 17, 12) per tutto ciò che disumanizza le nostre esistenze e i nostri rapporti personali.

Forse abbiamo già tirato fuori l’occorrente per preparare il presepe e l’albero di Natale… non dimentichiamo di recuperare qualche rapporto mancato o spento con il nostro prossimo perché sia una culla in cui la carne del Verbo possa serenamente riposare come tra le cose e le persone più amate. Se sarà così allora Elia sarà <già venuto> e tutto sarà di nuovo possibile. 

Attendere… paragonare

II settimana T.A. –

Il salmo responsoriale ci riporta in modo esigente alla necessità quotidiana di verificare non senza talora analizzare quali sono le linee portanti della nostra esistenza. Se la nostra vita assomiglia per molti aspetti a quella di un <albero> (Sal 1, 3), allora è necessario che le nostre radici si stendano <lungo corsi d’acqua> per poter dare nella stagione giusta i frutti che si attendono da noi. All’albero non sono concessi molti capricci: è necessario che stia al suo posto e che cerchi di ottimizzare la sua posizione per vivere e, possibilmente, dare ombra e conforto a chi cerca rifugio e nutrimento sotto le sue fronde. Il salmista non si accontenta di soffermare la sua attenzione sull’albero bello e fecondo, ma mette sotto i nostri occhi anche ciò che potrebbe succedere ad un albero pigro o capriccioso che diventa <come pula che il vento disperde> (1, 4).

La reazione del Signore davanti alle pressioni a cui è sottoposto, con cui si cerca da più parti e in più modi di obbligarlo a rivelare se stesso in risposata alle attese degli uni e degli altri non raramente contrastanti comincia con queste parole interrogative: <A chi posso paragonare questa generazione?> (Mt 11, 16). La risposta è che ogni generazione non esclusa la nostra continuamente corre il pericolo di essere <simile a bambini>. I Vangeli ci attestano un grande rispetto e una rara benevolenza del Signore Gesù nei confronti dei piccoli e in particolare dei bambini, ma in questo caso la parabola evoca l’aspetto più pesante e insopportabile dei bambini che sono i capricci: quelle richieste di attenzione che non solo sono eccessive, ma che sono pure violente, imponendosi come centro di gravitazione universale insensibile a tutte le altre necessità e alle altre urgenze.

Il Signore oggi ci richiama a <paragonare> noi stessi a dei bambini capricciosi a cui non va bene niente, perché in realtà non sanno neppure di che cosa realmente hanno bisogno: <Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto!> (11, 17). La parabola viene usata dal Signore Gesù per stigmatizzare un modo assai dannoso di fare continuamente paragoni – in questo caso si mette a confronto la parola e il comportamento del Battista con quello di Gesù – senza mai lasciarsi interrogare fino ad aprirsi ad un ascolto così vero da produrre in noi una profonda conversione. Allora la parola del profeta Isaia non può che essere percuotente: <Se avessi prestato attenzione ai miei comandi, il tuo benessere sarebbe come un fiume, la tua giustizia come le onde del mare> (Is 48, 18). All’immagine dell’albero si accosta quella del fiume e del mare! Stabilità e movimento sono indispensabili perché la vita fluisca, sia accolta come dono e ridonata come frutto. Questo esige un salto di qualità, una crescita che da bambini, piccini e capricciosi, che pensano di avere diritto sempre a tutta l’attenzione, ci renda degli adulti attenti che sanno entrare in una relazione da cui accettano di essere interpellati fino ad esserne autenticamente cambiati. Mentre i giorni dell’Avvento preparano il cuore al Natale sempre più vicino, la Parola di Dio ci chiede di affinare la nostra capacità di ascolto perché non ci capiti di non riuscire a vedere niente in quel bambino che attendiamo e che, così piccolo, non ha niente di <piccino>.

Attendere… la risposta

II settimana T.A. –

L’Avvento è un tempo privilegiato per porsi e porre delle domande. Esso è pure il tempo in cui, umilmente e serenamente, rendiamo il nostro cuore disponibile e sensibile a trovare e ad accogliere delle risposte che, non raramente, rischiano di suscitare altre domane e di richiedere, comunque, nuove aperture. Il profeta ci rassicura: <Io, il Signore risponderò loro, io, Dio d’Israele, non li abbandonerò> (Is 41, 17). Se questa è la promessa di Dio attraverso il profeta Isaia, il Signore Gesù, proprio facendo riferimento al <più grande> tra <i nati di donna> che è il Battista, coglie l’occasione di ribadire come questa grandezza apra la strada al <più piccolo>. Con un tocco di magnifica evangelicità, il Signore riesce a dire, nello stesso tempo, che Giovanni e <più grande> senza omettere, anzi sottolineando ancora più radicalmente, che <il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui> (Mt 11, 11)

Se è vero che il dono di Dio supera ogni immaginazione e ogni desiderabilità, rimane ancora vero che il suo Regno perché possa irrompere nella nostra vita e in quella di ogni creatura ha bisogno della <violenza> (11, 12) della nostra domanda, del nostro vuoto, del nostro desiderio. Senza questa capacità di farci forza non sarebbe possibile in alcun modo forzare le logiche mondane che abitano sottilmente e in modo radicato le profondità del nostro cuore per andare oltre e aprirci ai segni che indicano la presenza del Regno già nelle nostre vite e nel tessuto delle nostre relazioni. Il salmista esorta caldamente: <Facciano conoscere gli uomini le tue imprese e la splendida gloria del tuo regno> e aggiunge con tono ammirato: <Il tuo regno è un regno eterno, il tuo dominio si estende per tutte le generazioni> (Sal 144, 12-13).

La memoria dell’incarnazione del Verbo cui l’Avvento ancora una volta prepara i nostri cuori, ci ricorda che il mistero di questo Regno si è fatto talmente piccolo da essere consegnato alle nostre mani fino ad essere come affidato interamente alla nostra cura. Lungi da noi pensare di poter testimoniare e annunciare la venuta del Regno di Dio in Cristo Gesù, dimenticando che questi si è fatto talmente piccolo da non poter essere annunciato se non come mezzi altrettanto piccoli. La parola del profeta ci fotografa in modo particolarmente autentico quando si rivolge a noi come a un <vermiciattolo> e come ad una <larva> (Is 41, 14). La nostra risposta al dono che il Padre ci fa in Cristo Gesù che si è fatto uno di noi fino a farsi meno di noi, è quella di accettare giorno dopo giorno di farci violenza per superare la tentazione della grandezza, del potere, dell’apparire, del voler essere più grandi e più potenti. La parola del Signore taglia corto con molti dei nostri alibi: <il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono> (Mt 11, 12). La posta in gioco è talmente alta che l’esortazione si fa particolarmente forte e attende una risposta adeguata e non rimandabile: <Chi ha orecchi, ascolti!> (12, 15).

Attendere… è dolce

II settimana T.A. –

Le parole del profeta e quelle del Signore Gesù risuonano come una vera e propria cospirazione perché il nostro cammino si faccia sempre più <dolce e leggero> (Mt 11, 30). Isaia ci mette di fronte ad una possibilità che può regalare alla nostra esistenza un senso di sollievo e di serenità: <quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi> (Is 40, 31). Dal canto suo Gesù invitandoci ad andare verso di lui non dimentica di accoglierci per quello che siamo senza escludere nessuno dei pesi della vita che ci gravano il cuore: <Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro> (Mt 11, 28). Il Signore non si accontenta di attirarci verso di Lui, ma ci promette di farsi carico di tutto ciò che portiamo dentro il cuore e nelle pieghe più riposte della nostra esistenza. Quando il cammino si fa oscuro e il peso lo si avverte come eccessivamente pesante, non è forse perché decidiamo di portare da soli il peso e di fare da soli – troppo isolati – il cammino?

La parola del profeta ci ricorda, invece, come e quanto i nostri cammini e i nostri pesi non siano per nulla estranei al Creatore: <Non temere, vermiciattolo di Giacobbe, larva di Israele; io vengo in tuo aiuto> (Is 40, 14). Perché potessimo sperimentare fortemente questo aiuto, il Verbo si è fatto carne, si è fatto uomo per aggiogarsi a noi e tirare con noi, per preparare al meglio i terreni della nostra vita a ricevere i semi della gioia, della pace, della serenità. Chi mai potrebbe immaginare, guardando il bambino che contempleremo nel presepio, che egli sia venuto per aiutarci nel grande lavoro di essere e diventare sempre più terreni fecondi di umanità? Eppure, la silenziosa presenza del bue e dell’asinello che, tra poco, metteremo in bella vista nei nostri presepi, ce lo ricordano in modo dolce e, allo stesso tempo, indimenticabile.

La disponibilità del Signore a farsi compagno di tribolazione e sostenitore di speranza, obbliga ad un serio e rigoroso discernimento per comprendere quando alle fatiche normali e imprescindibili della vita ne aggiungiamo, più o meno consciamente, di inutili e dannose. Mentre i nostri passi si avvicinano ad una rinnovata contemplazione del mistero di un Dio che si fa bambino, ci viene richiesto un passo ulteriore di lucidità su noi stessi assolutamente necessaria per compiere quei passi di carità cui siamo chiamati. Il primo passo sembra quello di accogliere il fatto di essere così spesso <stanchi e oppressi>. Il secondo passo è quello di accogliere di essere sollevati e confortati per poter, a nostra volta, confortare e sollevare in modo che per tutti si compia la profezia: <Farò scaturire fiumi su brulle colline, fontane in mezzo alle valli; cambierò il deserto in un lago d’acqua, la terra arida in zona di sorgenti> (Is 41, 18). Possiamo vivere questa giornata cullando dentro di noi la parola del salmista: <Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature> (Sal 144, 9).

Attendere… da piccoli

II settimana T.A. –

La Parola di Dio oggi ci raggiunge in uno dei bisogni più forti e più profondi che attraversa il nostro essere umani: il bisogno e il desiderio di essere cercati e continuamente ritrovati. Il Signore Gesù non esita a dichiarare con solennità: <Così è la volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda> (Mt 18, 14). Come i piccoli ogni tanto ci smarriamo e come loro attendiamo che qualcuno venga finalmente a cercarci. Talora ci perdiamo in un bicchier d’acqua soccombendo a tempeste e a drammi che sembrano sommergerci, fino ad inghiottire terribilmente la nostra vita. Altre volte, invece, ci nascondiamo allo sguardo amoroso di Dio creando una corazza di impenetrabili spine e di insuperabili muraglioni di funzionalità, di razionalità, di rispetto umano che, infine, ci condannano ad una penosa e difficilmente sopportabile solitudine. 

In tutto questo turbamento risuona la voce del profeta: <Ecco, il vostro Dio viene con potenza, il suo braccio esercita il dominio> (Is 40, 10). In realtà, non si tratta di un dominio di potenza, ma di una estrema compassione d’amore: <Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri> (40, 11). Il profeta ci fa contemplare l’attitudine divina nei confronti della nostra umanità che diventa per noi un modello di umanità. Questa divina attitudine alla cura ci fa sentire, a nostra volta, il bisogno e il dovere di farci carico di coloro che come noi – e talora più di noi – sono <piccoli> (Mt 18, 14) e rischiano di perdersi e di smarrirsi, senza neppure rendersene conto.

La domanda che il Signore Gesù pone ai suoi ascoltatori è fondamentale anche per ciascuno di noi: <Che cosa ve ne pare?> (18, 12). A questo interrogativo non si può che rispondere con il dono generoso e pieno della propria vita. Per cui non vale la pena dare una risposta troppo affrettata, ma lasciare che essa emerga <dolcemente> (Is 40, 11) e veramente dalla nostra capacità di sentirci piccoli e di farci attenti ai piccoli. L’Avvento aiutandoci a preparare la celebrazione del mistero dell’incarnazione ci riporta al mistero della piccolezza di Dio fattosi bambino per noi. In questo modo ci riconcilia con la nostra piccolezza e con quella dei nostri fratelli e sorelle in umanità aiutandoci – al contempo – a prendere le distanze da ogni forma di piccineria e di meschinità. La parola del profeta Isaia è per noi un vero balsamo che non solo lenisce ma pure rafforza la nostra fiducia in un Dio che ci guida senza costringersi a nulla, ma lasciando emergere da fondo del nostro cuore il meglio delle nostre intenzioni e delle nostre possibilità. La parabola del Signore Gesù infonde al nostro cuore un senso di dolcezza il cui intento non è solo quello di consolare il nostro cuore, ma pure di renderci un’immagine per gli altri della stessa cura e dello stesso amore preferenziale per i più piccoli.