Convertire… uscire
IV settimana T.Q. –
Il cammino verso la Pasqua sembra conoscere una visibile accelerazione. In realtà la cosa più importante non è registrare il peggiorare della situazione tra il Signore Gesù e i notabili del popolo che porterà alla condanna del Signore, quanto piuttosto fare un passo in più nella nostra sequela del Signore per essere intimamente partecipi del suo mistero pasquale. Le parole del profeta Isaia indicano la direzione necessaria alla nostra esperienza di conversione: <dire ai prigionieri: “Uscite”, e a quelli che sono nelle tenebre: “Venite fuori”> (Is 49, 9). Siamo noi i primi ad essere chiamati a vivere questo parto interiore che ci permetta di riprendere a vivere in pienezza. Per osare il passo di quella rinascita così necessaria per evitare di essere morti, mentre siamo ancora apparentemente vivi, è necessario essere animati da una fiducia senza la quale persino le cose più semplici, naturali e scontate rischiano di diventare così difficili da sembrare impossibili. Il profeta ci rammenta come la nostra vita è un miracolo di fiducia e di cura: <Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai> (49, 15).
Il Signore Gesù non ci parla di sua madre, ma ci parla a lungo di colui che chiama <Padre mio> (Gv 5, 17). La relazione di intimità tra Gesù e il Padre è, soprattutto per il quarto Vangelo, il termine di dissidio con scribi, farisei e dottori della Legge che sembrano non poter sopportare una tale intensità di rapporto personale che, naturalmente, relativizza radicalmente la loro pretesa di essere i garanti di una possibile relazione con l’Altissimo. Il Signore non fa mistero della sua consapevolezza e della sua esperienza di “divina maternità” che non ammette nessuna intrusione: <Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, perché voi ne siate meravigliati> (Gv 5, 20). Mentre prosegue il nostro cammino di conversione, siamo oggi chiamati a fare una sorta di esame di coscienza sulla nostra relazione con il Padre del Signore nostro Gesù Cristo. È, infatti, questa intimità – amata e coltivata – che rappresenta il fondamento stabile e inviolabile della nostra vita. È questa consapevolezza di un amore invincibile e intoccabile che ha dato al Signore Gesù la forza per sopportare il rifiuto, l’umiliazione e la morte.
Il grande annuncio <viene l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce> (5, 28) non riguarda prima di tutto i morti, né si riferisce alla risurrezione finale, ma tocca la nostra esperienza quotidiana di essere continuamente richiamati ad una fiducia nella vita che non sarebbe possibile senza una rinnovata fiducia in un amore che ci precede, ci accompagna, ci attende. Allora non si può che accogliere e fare nostra l’esultazione profetica: <Giubilate, o cieli, rallegrati o terra, gridate di gioia o monti, perché il Signore consola il suo popolo e ha misericordia dei suoi poveri> (Is 49, 13). Nella sensibilità ebraica consolare significa far respirare, allargare i polmoni e questo diventerà il nome proprio del Consolatore che in noi è germe di vita così piena da essere eterna.