Misericordia
VIII settimana –
Il Siracide sembra voler sostenere la nostra speranza senza in alcun modo dare adito all’illusione o alla superficialità: <Quanto è grande la misericordia del Signore, il suo perdono per quanti si convertono a lui!> (Sir 17, 29). In una sola e densa frase, siamo messi di fronte all’abisso infinito della misericordia di Dio in cui possiamo quasi annullare il piccolo abisso del nostro peccato normalmente frutto di dimenticanza o di sovra estimazione di noi stessi. Se, infatti, il Siracide ci conforta con la rassicurazione che la misericordia del Signore è così grande, al contempo ci ricorda che tutta la vita ci è donata come una possibilità e una sfida di continua conversione: <Non perseverare nell’errore…> (17, 26). Alla luce delle calde esortazioni della prima lettura possiamo, forse, comprendere meglio quale sia l’errore di questo tale che si avvicina a Gesù con così nobili intenzioni e si allontana da Lui <scuro in volto> e profondamente <rattristato> (Mc 10, 22). Se leggiamo con attenzione il testo ed entriamo nel dialogo tra il Maestro e questo potenziale, ma mancato discepolo, possiamo dire che a questo tale mancò il coraggio della misericordia verso se stesso che gli impedì di chiedere misericordia piuttosto che esibire la sua rettitudine praticata con zelo fin dalla <giovinezza> (10, 20).
Clemente d’Alessandria si interroga sulla situazione interiore di questo tale cercando di andare un po’ oltre la sua pretesa: <Perché quel giovane che compiva i comandamenti della Legge così fedelmente fin dalla giovinezza si sarebbe gettato ai piedi di un altro uomo per chiedere l’immortalità? Quell’uomo osservava tutta la Legge e l’aveva praticata fin da piccolo. Ma avverte che, se non manca nulla alla sua virtù, manca ancora qualcosa alla sua vita. Ecco perché viene a domandarla a colui che solo può dargliela; è sicuro di essere a posto con la Legge, tuttavia implora il Figlio di Dio. Gli ormeggi della Legge non lo difendono dal rullio; insicuro, lascia l’ancoraggio pericoloso e viene a gettare l’ancora nel porto del Salvatore. Gesù non gli rimprovera di aver mancato alla Legge, ma si mette ad amarlo, commosso dall’impegno del buon discepolo. Tuttavia, lo definisce ancora imperfetto: è buon operaio della Legge, ma senza lo slancio per la vita eterna. La santa Legge è come un pedagogo che conduce verso i perfetti comandamenti di Gesù e verso la sua grazia>1.
Potremmo analizzare il nostro desiderio di essere discepoli specchiandoci, riga dopo riga, nella riflessione di Clemente d’Alessandria cercando di capire onestamente quale sia la nostra situazione reale e che cosa veramente ci manca come pure che cosa veramente desideriamo. Le parole del salmo responsoriale sono capaci di farci fare un passo in più rivelandoci come la beatitudine e la pace del cuore non potranno mai essere il frutto essenziale dei nostri sforzi –pur necessari – ma l’esperienza ardente di una grazia ricevuta e accolta a piene mani e a pieno cuore: <Beato l’uomo a cui è tolta la colpa e perdonato il peccato> (Sal 31, 1). E il più grave peccato è di presumere di non avere bisogno che di misericordia. I cinque verbi con cui il Signore Gesù concretizza la proposta di risposta al suo amore rivelano in questo tale la paura di amare e di lasciarsi amare. Al piccolo pentateuco della sequela: <va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri… e vieni! Seguimi!> (10, 21) corrisponde una triste fuga al posto di un ardente e appassionato abbraccio. E l’amore non insegue mai, ma sa trasformarsi in misericordia e assoluto rispetto senza risentimento alcuno: <Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio> (10, 27).
1. CLEMENTE D’ALESSANDRIA, Quale ricco potrà salvarsi?
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