Mentre

XIII settimana T.O.

Come scrive Christian Bobin, il Signore Gesù <va diritto alla porta dell’umano che è in noi. Aspetta che questa porta si apra. La porta dell’umano è il volto>. Ed è proprio al livello del volto, attraverso lo sguardo come ha magnificamente intuito Caravaggio che si consuma l’incontro tra Gesù e Matteo. Un incontro che apre la possibilità per quest’uomo incatenato <al banco delle imposte> (Mt 9, 9) di poter reimpostare e immaginare in modo completamente nuovo la sua vita, senza escludere nulla e senza defenestrare nessuno, senza per questo rinunciare a coltivare uno sguardo nuovo su ogni cosa e su ogni persona uscendo dai propri blocchi e dalla sottile condanna a ripetersi. Ciò che sfugge ai farisei, che non lesinano di mascherare il loro imbarazzo fingendo di essere devotamente imbarazzati, è ciò che è avvenuto nell’incontro tra Gesù e Matteo: incontro di sguardi, comunione di cuore, intuizione di intime e segrete sofferenze che esigono la cura di un amore sempre più grande.

In questo contesto di incontro che tocca e guarisce il cuore, la reazione del Signore Gesù alle seccanti argomentazioni dei farisei non lascia dubbi: <Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”> (9, 12-13). La prima lettura ci offre un versetto che ci aiuta a cogliere tutto il peso e, soprattutto, le conseguenze di questa parola del Signore: <In quel giorno farò tramontare il sole a mezzogiorno e oscurerò la terra in pieno giorno!> (Am 8, 9). Questa parola del profeta si è compiuta in modo unico nel momento della morte del Signore Gesù innalzato sulla croce. In tal modo ci viene ricordato che il perdono e la misericordia esigono il dono totale della propria vita che passa sempre attraverso il sottile passaggio – una vera e propria Pasqua! – tra l’offerta di <sacrifici> (Mt 9, 13) e il sacrificio di se stessi a favore della vita e della guarigione dell’altro.

Francesco d’Assisi, rivolgendosi ad un superiore dell’Ordine Francescano, scrive così: <Ecco da cosa riconoscerò che ami il Signore, e che mi ami, me, suo servo e tuo: se qualunque fratello al mondo, dopo aver peccato quanto è possibile peccare, può incontrare il tuo sguardo, chiederti perdono, e andarsene perdonato. Se non ti chiede perdono, chiediglielo tu, se vuol essere perdonato. E anche se dopo pecca ancora mille volte contro di te, amalo più di quanto ami me, e ciò per ricondurlo al Signore>1. La sfida è quella di mettere l’altro sempre al primo posto, mettendolo in condizione di crescere e di fare un cammino. Questo esige la capacità e la volontà di dare tempo, proprio come fa Gesù non solo quando passa nella vita di Matteo, ma anche quando interseca la vita di quanti fanno parte della sua vita <Mentre sedeva a tavola nella casa…> (9, 10). 

Così la fame di cui parla il profeta Amos <non di pane ma di parola> (Am 8, 11) trova una risposta in Gesù che ci sazia con la sua misericordia, la sua benevolenza, la sua compassione: saziati, siamo chiamati a saziare!


1. FRANCESCO D’ASSISI, Lettera ad un superiore dell’ordine francescano.

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