Insultare
XII settimana T.O. –
Ezechia sale al tempio con portando tra le mani la lettera che il re d’Assiria, dall’alto della sua prepotenza e tracotanza, gli ha inviato per umiliarlo toccandolo proprio nella sua via di fede in Dio: <Non ti illuda il tuo Dio in cui confidi> (2Re 19, 10). In questo incipit si riassume e si rispecchia ogni tentazione che cerca di renderci ancora più fragili e vulnerabili sgretolando la roccia sicura della nostra relazione con il Signore Dio su cui si fonda la nostra speranza. Farci pensare che il nostro sia il Dio delle facili illusioni non è prima di tutto un modo per screditare l’Altissimo, ma è il modo più sicuro per farci vacillare facendoci sentire creature abbandonate a se stesse e in balìa della legge del più forte. Ezechia diventa per noi un vero maestro di discernimento e un modello di reazione a tutto ciò che, in molti modi, cerca di sgretolare in noi la fede in Dio e la fiducia nella vita. Invece di convocare un consiglio di guerra, il re, per prima cosa, <salì al tempio del Signore> (19, 14).
Un gesto apparentemente banale e che non è solamente cultuale. Salire al tempio significa fare un passo fuori e oltre se stessi confessando così di non ritenere né di essere il centro della propria vita, né tantomeno di essere garanti di se stessi. Ezechia che pure è il re di Israele colto nel pieno e coraggioso esercizio della sua funzione è capace di creare uno spazio in cui al centro viene posto il Signore Dio. La reazione di Ezechia alla minaccia della superpotenza assira è quella di pregare prima di discutere e di pianificare le strategie di una controffensiva. La preghiera ci aiuta a ristabilire e radicalizzare le giuste proporzioni tra ciò che accade e il senso di ciò che stiamo vivendo. Inoltre la preghiera è capace di ricreare quella comunione non di dipendenza ma di alleanza con Dio a partire dalla quale possiamo sentire che ciò che ci minaccia lo minaccia e viceversa: <Ascolta tutte le parole che Sennacherib ha mandato a dire per insultare il Dio vivente> (19, 16).
Nel Vangelo, il Signore Gesù usa un’altra immagine non meno efficace per aiutarci a non perdere la misura del reale e darci sapienza di non cedere a nessuna minaccia che incrini la dignità e la fiducia: <Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi> (Mt 7, 6). Con questa parabola il Signore Gesù conferma che ogni insulto all’uomo è un insulto a Dio e ogni insulto a Dio non fa che insultare noi stessi toccando l’essenza della nostra stessa vita. È necessaria una continua vigilanza per non cadere nella trappola di una ingenuità perniciosa: nella vita è sempre necessaria la fatica del discernimento e non ci si può lasciare andare a una superficiale “buonismo” che, in realtà, è un comodo modo per abdicare alla propria responsabilità. Allora la parola del Signore diventa ancora più chiara: <Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi entrano> (7, 13). Si tratta della laboriosità richiesta al discepolo nell’essere sempre disposto a lavorare su se stesso e a interpretare in modo adeguato – normalmente faticoso – tutto ciò che attraversa la sua vita senza mai lasciarsi insultare nella propria capacità di discernere e di scegliere.
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!