Imbiancati

XXI settimana T.O.

Ritroviamo i farisei di sempre con i loro mantelli di apparenza sotto cui si cerca di celare la propria nuda povertà e fragilità senza essere, invece, capaci di assumerla per poterla trasfigurare con un autentico cammino di conversione. Il bianco dei loro sepolcri fa pensare alle ossa aride di cui giorni fa ci parlava una visione di Ezechiele. Mentre le ossa di Ezechiele si fanno riempire e ravvivare dal dono dello Spirito di Dio. Il cuore dell’ipocrita, invece, sottraendosi allo sguardo di Dio non fa altro che acconsentire alla morte fino a farla trionfare. Quando si cede a questa logica, talora senza neanche accorgersene più di tanto, ci si trasforma in una sorta di monumento a se stessi di cui c’è poco da gloriarsi. Questo essere imbiancati può ben dare l’impressione di purezza asettica, ma non dimentichiamo che può anche rimandare ad una terribile assenza dei colori della vita tanto da essere più una manifestazione della morte che una testimonianza della gioia di vivere. Questo è ritenuto dal Signore Gesù un modo di complicità con <chi uccise i profeti> perché incapaci di prendere realmente le distanze da tutto ciò che si oppone alla vita e al suo fiorire colorato e vivace.

Da parte sua l’apostolo Paolo si offre come <modello> per i discepoli proprio a partire da quella che possiamo sentire come un’esortazione viva ad essere operosi senza cedere alla tentazione di essere <oziosi> (2Ts 3, 7). Potremmo intendere questo rischio di oziosità come l’atteggiamento farisaico con cui si tende a deresponsabilizzarsi nei confronti della storia, invece di coinvolgersi appassionatamente.

La persona che lavora mostra nel suo agire e nel suo essere creativo di essere vivo e di essere sensibile alla vita con tutte le sue dinamiche di perenne trasformazione e infinita creatività, di essere, in certo modo, “divino”. Una simile sensibilità per la creatività e per la vita non può che tenere il nostro cuore assolutamente lontano da tutto ciò che ha a che fare con i <sepolcri> (Mt 23, 27). Troppo spesso, infatti, vi è un’eccessiva familiarità tra le persone devote e tutto ciò che ha a che fare con la morte e le <tombe> (23, 29). Di fatto il Signore Gesù continua a stigmatizzare l’ipocrisia degli scribi e dei farisei e, nella pericope evangelica di oggi, in certo modo li identifica ai becchini o ad un’impresa di pompe funebri: tutti intenti ad adornare le tombe e a porre rimedio – senza riuscire a trasformarlo veramente – l’operato dei <padri> dimostrandosi infine come <figli di chi uccise i profeti> (23, 30-31). C’è in questo modo di vivere e di concepire la devozione e la religiosità qualcosa di profondamente malato e di terribilmente morti-fero da cui il Signore prende le distanze e ci chiede di tenerci debitamente a distanza.

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