Il viaggio

Esaltazione della santa Croce

La liturgia della Parola ci conduce nel mistero della Croce come luogo di rivelazione ultima e piena del disegno di Dio sulla nostra vita e sul nostro destino. Questa riflessione comincia con un’immagine: <il popolo non sopportò il viaggio> (Nm 21, 4). Fa parte del nostro modo consueto di vivere la Liturgia che sia proprio la croce ad aprire le nostre processioni, da quelle più solenni a quelle più familiari com’è la processione al cimitero quando vi accompagniamo i nostri cari per il loro ultimo viaggio da questo mondo al Padre. Secondo quanto dicono i liturgisti, la croce precede sempre! E potremmo aggiungere: la croce accompagna sempre. Dire questo può, certo, significare l’evocazione di tutta quella serie di croci che segnano il cammino della nostra vita, tanto da essere ormai parte integrante del linguaggio comune anche di quelli che non credono in Cristo, quando ad esempio si dice di qualcuno o a qualcuno: <sei proprio una croce>!

Nondimeno dobbiamo tenere presente che ciò di cui oggi facciamo memoria non sono le nostre croci, ma siamo invitati a contemplare il mistero glorioso della croce di Cristo Signore nel cui fulgore possiamo trovare il senso profondo e vero delle nostre fatiche. Le parole che il Signore Gesù dice a Nicodemo sono sussurrate al cuore di ciascuno di noi soprattutto nei momenti in cui sentiamo il peso della sofferenza, del paradosso, della fatica: <Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui> (Gv 3, 17). Laddove noi sentiamo la “croce” come una potenziale condanna di tutto ciò che riteniamo essere per noi fonte di gioia e di soddisfazione, il Signore Gesù attira la nostra attenzione e ci esorta alla conversione dello sguardo interiore per cogliervi invece un senso più profondo e più vero. Quando il Signore Gesù dice a Nicodemo: <Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo> (3, 13) richiede a ciascuno di noi, come avvenne già per Giacobbe al momento del suo sogno e della sua visione della scala che congiungeva la terra al cielo, di contestualizzare in modo più preciso persino la nostra fatica di viaggiare nella vita in un orizzonte più ampio.

In tal senso la croce, con la sua simbologia così forte, diventa uno strumento di orientamento e una sorta di chiave di senso. La croce di Cristo si offre alla nostra contemplazione in ottica di simbolo tridimensionale. Lo raccogliamo nella dimensione verticale di questo legno innalzato al cielo, a Dio. La dimensione orizzontale, la parte più corta che Gesù carica sulle sue spalle e trascina nel salire, e da cui ci abbraccia e ci costituisce fratelli ai suoi piedi. Per significare la dimensione della profondità, la croce è piantata sulla nostra terra tanto da riconoscere noi stessi nell’uomo che sulla croce soffre e, nell’abbandono, ritrova il senso più profondo della vita nella relazione con il Padre, sperimentiamo già la speranza della realtà della risurrezione. L’apostolo Paolo sembra esultare: <Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome> (Fil 2, 9). Questo nome è <Gesù> che significa <salvezza> ma è anche <Cristo> che significa <unto del Signore> ed è pure <Signore> che indica la sua vittoria sui <serpenti brucianti> dell’egoismo i quali rischiano di trasformare il <viaggio> in una inutile odissea.

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