Fecondi
XVI settimana T.O. –
Il profeta Geremia non lesina sulla speranza e anzi la nutre con delle visioni sempre più ampie: <Quando poi vi sarete moltiplicati e sarete stati fecondi nel paese, in quei giorni – oracolo del Signore – non si parlerà più dell’arca dell’alleanza del Signore: non verrà più in mente a nessuno e nessuno se ne ricorderà, non sarà rimpianta né rifatta> (Gr 3, 16). In un solo versetto il profeta delle contraddizioni più cocenti rivela a auspica una nuova possibile fecondità per il popolo che si radica in una relazione con il Signore sempre più intima che ha sempre meno bisogno di quelle realtà esteriori, persino quelle liturgiche, a vantaggio di una relazione con Dio intima e segnata dal primato dell’interiorità. Le ultime parole della prima lettura chiariscono come questo processo interiore di fecondità sia possibile e quale ne sia la condizione imprescindibile: <non seguiranno più caparbiamente il loro cuore malvagio> (3, 17).
Dal canto suo il Signore Gesù cui la predicazione di Geremia non solo è molto cara, ma sulla cui predicazione spesso si fonda la sua stessa predicazione della conversione insiste sul mistero di una fecondità interiore legata sempre di più alla disposizione del cuore ad accogliere la Parola non superficialmente, ma radicalmente. L’occasione per ribadire tutto ciò è data dalla spiegazione della parabola del seminatore che potrebbe pure essere intesa come la parabola dei possibili destini dei semi caduti sulla terra del cuore. In realtà, se leggiamo attentamente la spiegazione della parabola ci rendiamo conto che il soggetto è esattamente <colui che ascolta la Parola>! Ascoltare è già molto, ma sembra non essere sufficiente per essere veramente fecondi.
La Parola, secondo la spiegazione di Gesù, esige un’accoglienza che si fa gelosa custodia contro <il Maligno> che <ruba> (Mt 13, 19); esige costanza per evitare che la <persecuzione a causa della Parola> (13, 21) segni la fine della corsa della Parola nelle profondità del cuore trasformandosi così in una sorta di aborto spirituale; esige una provata libertà per evitare che la Parola venga soffocata dalla <preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza> (13, 22). Il <frutto> (13, 23) è legato alla fatica gioiosa di una comprensione non solamente teorica o intellettuale, ma che si fa accoglienza esistenziale. Poco importa la quantità che può essere <il cento, il sessanta, il trenta per uno>, ciò che importa è che la Parola non venga sprecata come un seme destinato a perire non in vista di un frutto, ma per la nullificazione delle sue possibilità.
La Parola ricorda da una parte quanto la Parola abbia un’energia tutta sua che è capace di fecondare e di moltiplicare le forze e le energie, dall’altra ci rammenta che essa è affidata alle nostre mani, al nostro cuore, alla nostra cura. Se è dunque vero che noi non possiamo fare nulla senza la forza della Parola seminata nei nostri cuori, rimane altresì vero che la Parola ha bisogno della nostra accoglienza per essere feconda e basta un piccolo – persino piccolissimo – angolo di terra buona per fare questo miracolo.
Deo gratias 🙏❤️🔥