Fateli crescere
XXX settimana T.O. –
Non possiamo nascondere un certo imbarazzo davanti alle parole di Paolo che in questi giorni accompagnano e guidano il nostro ascolto della Parola. Sembra che, alla fine, l’apostolo si limiti a ribadire quelle che sono le consuetudini – e perché no, i comodi! – vigenti nella cultura del suo tempo senza rivoluzionare realmente, alla luce della novità del Vangelo, quelle che sono i funzionamenti abituali della società: <Schiavi, obbedite ai vostri padroni terreni con rispetto e timore, nella semplicità del vostro cuore, come a Cristo> (Ef 6, 5). Se non sapessimo come venivano trattati gli schiavi nel mondo e nel tempo di Paolo, questa parola potrebbe sembrare persino toccante. Ma tutti ricordiamo la storia di Spartacus almeno dall’epoca delle elementari. Eppure, se siamo imbarazzati dobbiamo anche lasciarci interrogare da un modo forse diverso dal nostro di leggere le relazioni tra persone, da quelle più intime a quelle più istituzionali legate al lavoro e a tutti gli altri rapporti sociali. Sia all’interno della comunità familiare che nella società, l’apostolo sembra esortare ciascuno e non entrare in una logica di semplice emancipazione dalla propria condizione, ma di vivere fino in fondo il valore e la possibilità – comunque sempre sofferta – di portare il peso della relazione con l’altro.
A tutti e a ciascuno l’apostolo chiede di fare la propria parte fino in fondo sperando così che questa stessa volontà di fedeltà alla propria condizione e al proprio ruolo crei le condizioni dei cambiamenti più veri e profondi che fanno sperare in un futuro più bello e più vivibile per tutti. L’esortazione fatta ai <padri> potrebbe essere estesa a tutti nella misura in cui siamo responsabili – in vari modi e a vari livelli – di prenderci cura dell’altro: <fateli crescere> (6, 4). Questa parola evoca lontanamente il primo e il fondamentale dei comandi del Creatore: <crescete> (Gn 1). Alla luce di ciò possiamo dare un senso più ampio alla domanda che viene posta al Signore Gesù: <sono pochi quelli che si salvano> (Lc 13, 23)? La risposa del Maestro ci aiuta a non pensare alla salvezza in termini asfittici, ma come il respiro di una vita che si dilata e si dona sempre di più. Fare l’esperienza della salvezza significa, infatti, diventare capaci di creare dentro di sé e attorno a sé uno spazio non di <ingiustizia> (13, 27) ma di vita giusta per tutti tenendo conto di ciò di cui ciascuno ha bisogno nella concretezza della sua vita che non è mai riconducibile a misure troppo chiare e distinte.
L’ultima parola del Signore non solo suona come provocazione, ma forse è ciò che sta al fondo delle stesse esortazioni dell’apostolo apparentemente così scontate e, per molti aspetti, così conformiste: <Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi> (13, 30). Cerchiamo di <entrare per la porta stretta> (13, 24) che ci immette in quel meraviglioso flusso che <da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno> (13, 29) si muove come un’immensa processione di speranza verso l’unica <mensa> imbandita nel <regno di Dio> di cui tutti siamo commensali e al contempo servitori.
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