Convertire… vivere
III settimana T.Q. –
Il libro del Deuteronomio non si accontenta di ribadire la necessità e le modalità di una promettente relazione con il Signore Dio che sia salvifica, ma né indica la motivazione più profonda e più attraente: <perché viviate ed entriate in possesso della terra che il Signore, Dio dei vostri padri, sta per darvi> (Dt 4, 1). Queste parole del Deuteronomio possono offrirci un elemento in più per accogliere la parola del Signore Gesù che rischia di sembrarci troppo dura ed esigente: <Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli> (Mt 5, 19). Solo nella misura in cui diventiamo capaci di cogliere la portata dei minimi gesti e delle piccole scelte della nostra esistenza quotidiana, siamo capaci di creare uno spazio sempre più dilatato e adeguato per la vita. Inoltre, è proprio vero che la vita è sempre un’esperienza che, se autentica, non può che essere vissuta pienamente e condivisa generosamente. Una forma necessaria di condivisione è proprio la trasmissione che riguarda non solo la vita come possibilità biologica, ma prima ancora come bagaglio di sapienza. In tal senso l’esortazione finale della prima lettura tocca in modo particolare la nostra generazione tentata di consumismo esistenziale tanto da essere poco preoccupata di lasciare un’eredità vivibile: <Ma bada a te e guardati bene dal dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno visto, non ti sfuggano dal cuore per tutto il tempo della tua vita> e aggiunge <le insegnerai anche ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli> (Dt 4, 9).
Il cammino della conversione, per cui ci impegniamo in modo particolare nel tempo quaresimale, non è una mortificazione fine a se stessa, ma un vero processo di dilatazione che esige la decisione verso quel <pieno compimento> (Mt 5, 17) che se è tutto donato è sempre tutto da compiere nella verità e nella realtà concreta della vita di ogni giorno. Il ritornello del Deuteronomio ci richiama alla concretezza per evitare ogni deriva ideologica e illusoria: <Le osserverete dunque, e le metterete in pratica, perché quella sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli> (Dt 4, 6). La parola del Deuteronomio cerca di arginare in tutti i modi quel morbo che rischia di paralizzare fino ad uccidere la vita di relazione con Dio, con se stessi e con gli altri: si tratta della dimenticanza! Il primo sintomo dell’insorgere di questa malattia, che può veramente mettere in pericolo il nostro cammino di fede, è un senso di distanza.
Al contrario di ciò, il Deuteronomio insiste nel sottolineare come la storia della salvezza, che passa attraverso un continuo rinnovarsi dell’Alleanza, si basa su una diversa percezione della relazione tra l’Altissimo e la nostra umanità ed è questo che fa la differenza. Nella prima lettura il messaggio è chiaro: <Infatti quale grande nazione ha gli dèi così vicini a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo?> (Dt 4, 7). A partire da questa parola del Deuteronomio, potremmo così dire che il ruolo del Signore Gesù non è quello di sostituire, né tantomeno di <abolire> (Mt 5, 17) quanto, piuttosto, di dare <compimento> a questa inenarrabile esperienza di prossimità e di vicinanza. Eppure, come ogni vicinanza che ci è dato di sperimentare nelle nostre umane relazioni, siamo chiamati a prendere coscienza – talora così dolorosamente – di differenze profonde che bisogna imparare ad accettare e di cui bisogna portare il peso con amore e con rispetto.
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