Convertire… la verga
II settimana T.Q. –
Il profeta Michea si profonde in una supplica che sembra profetizzare la decisione del figlio minore della parabola ormai sprofondato nell’umiliazione della miseria e della perdita di dignità: <Pasci il tuo popolo con la tua verga, il gregge della tua eredità, che sta solitario nella foresta tra fertili campagne> (Mi 7, 14). Al culmine della sua umiliazione, non disgiunta da una certa depressione, il figlio minore <ritornò in sé> e prese la decisione della sua vita: <Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: “Padre ho peccato contro il Cielo e davanti a te> (Lc 15, 17-18). Possiamo ben immaginare quali fossero i pensieri e i timori di questo figlio che non si sente più <degno di essere chiamato tuo figlio> (15, 19). Nella più nera disperazione, la sua grande speranza sarà stata la <verga> di un padre che lo avrebbe giustamente punito purché lo avesse riaccolto non tanto tra le sue braccia, ma nella sua casa dove c’è <pane in abbondanza> (15, 17). Il pane sembra essere diventato il pensiero fisso di questo giovane cui vengono negate quelle stesse <carrube di cui si nutrivano i porci> (15, 16). Eppure, il ritorno a casa coincide con la grande sorpresa del ritorno tra le braccia di un padre che è ferito non dalla mancanza di rispetto del proprio figlio, quanto piuttosto dal fatto che uno dei suoi figli rischia di sperperare non tanto il patrimonio, quanto la sua stessa vita.
Al cuore della terza parabola della misericordia, quasi come spartiacque tra la storia del figlio minore e quella del figlio maggiore, Luca incastona la perla di un primo piano sul volto e sul cuore del vero protagonista: <Quando ancora era lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si getto al collo e lo baciò> (15, 20). In un solo versetto ci viene svelato il volto di Dio e viene tracciato l’esigente cammino di conversione cui ciascuno di noi è chiamato per essere veramente figli di Dio. Eppure, sembra ricordarci il vangelo, non basta recuperare come il figlio minore o mantenere come il figlio maggiore il proprio statuto filiale, se questo non genera la capacità e la creatività di essere fratelli. Sembra proprio che sia la mancanza di compassione fraterna ad addolorare il cuore di questo padre piuttosto che la mancanza di rispetto verso la sua autorità paterna.
All’immagine così materna di un padre che accoglie nel suo seno il figlio che torna da lontano, si affianca un’immagine più drammatica che rischia di riguardarci ancora di più: <Suo padre allora uscì a supplicarlo> (15, 28) di ricordare quel legame di fratellanza che è indistruttibile quanto quello della figliolanza: <perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato> (15, 32). Non basta che il Padre ci ritrovi, è necessario che ci ritroviamo reciprocamente fino ad accettare di ricominciare a camminare fraternamente trasformando ogni giorno la <verga> (Mi 7, 14) in <compassione> (Lc 15, 20). La misericordia, diventa così più che una parola, diventa uno stile in cui la miseria e il cuore non sono che una sola cosa, quasi invocandosi reciprocamente, e riesce a mettere insieme gli <umiliati dalla vita> e la bellezza come amava ripetere Camus facendone i poli di un’esigente e difficile fedeltà alla nostra opera di umanizzazione. In tal modo ci viene ricordato, come si indicano le porte di sicurezza prima di decollare, che per quanto si possa cadere in basso, non si può mai cadere più in basso che nelle braccia di Dio che <perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità> (Sal 102, 3).
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