Convertire… in fasce

III settimana T.Q.

Il profeta Osea non ha dubbi sull’atteggiamento fondamentale del Signore nei nostri confronti: <egli ci ha straziato ed egli ci guarirà. Egli ci ha percosso ed egli ci fascerà> (Os 6, 1). Il Signore Gesù non lascia alcun dubbio: <Io vi dico: questi a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato> (Lc 18, 14). Così esorta Giovanni Crisostomo: <Rivela la tua coscienza in presenza di Dio, mostragli le tue piaghe e implora da lui i rimedi; rivolgiti all’Altissimo non come giudice, ma come medico>1.

Ormai a metà del cammino quaresimale e mentre la marcia verso la Pasqua si fa corsa ardente e appassionata per reimmergerci nel mistero pasquale di Cristo Signore, siamo chiamati a fare sempre più ricorso alle fasce della misericordia senza dimenticare di essere i primi ad averne bisogno. Se, infatti, le fasce del giudizio stritolano la possibilità di conversione e di crescita dei nostri fratelli, le fasce della misericordia fanno sentire al caldo e al sicuro quanti sono ancora neonati nel cammino di fede, tanto da dare loro il coraggio del cambiamento. Così pure le fasce della misericordia permettono a quanti sono feriti a causa della debolezza della volontà e della fragilità nelle proprie scelte, di avere il tempo di lasciare che le piaghe non si infettino e possano gradualmente guarire fono ad essere perfettamente risanate. L’atteggiamento del fariseo è fasciato nelle bende di una mummificazione che non ammette crescita e quindi non spera nelle possibilità della vita.

Il pubblicano è così consapevole della propria fragilità da essere capace di chiedere aiuto tanto che <si batteva il petto> (18, 13). Con questo gesto, che spesso ripetiamo all’inizio della celebrazione eucaristica, si manifesta una conoscenza umile e vera del proprio cuore nemica di ogni mistificazione irrealistica che è il primo passo della superbia. La <conoscenza di Dio> (Os 6, 6) reclamata dal profeta comincia sempre con un passo di lucidità su noi stessi che esige la capacità di andare oltre noi stessi per aprirci ad un incontro così intimo con il Signore capace di mettere in luce la verità del nostro cuore senza che questo ci spezzi interiormente, ma, al contrario, ci rimetta in piedi senza cedere alla vanagloria. A ben pensarci, la boria di questo povero fariseo che non solo elenca davanti a Dio tutte le sue prodezze spirituali ma ha un bisogno incontrollabile di elencare pure le malefatte del suo vicino, nasconde un disagio che lo porta a moltiplicare le parole tradendo, così, le sue inquietudini più profonde, seppur ben mascherate. Il Signore predilige chiaramente l’atteggiamento del pubblicano non perché preferisca la trasgressione alla giustizia, ma perché ama di più una relazione fatta di verità piuttosto che un modo di porsi davanti a lui mascherando il proprio bisogno di essere accolti e di essere sempre perdonati e amati. La conoscenza di Dio, di cui ci parla il profeta, passa sempre attraverso la conoscenza di noi stessi che non può mai essere presuntuosa, ma sempre umile perché desiderosa di un contatto vero che comporta sempre la capacità di assumere la nostra povertà di creature davanti alla bontà del nostro Creatore che continuamente ci fascia con la sua misericordia.


1. GIOVANNI CRISOSTOMO, L’incomprensibilità di Dio, 5.

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *