Convertire… in consapevolezza

II settimana T.Q.

Questa nuova tappa del nostro cammino quaresimale, si apre all’insegna di una crescita in consapevolezza che ci mette in grado di fare un passo ulteriore nella capacità di decisione. Il profeta Daniele si fa interprete di quello che, in termini moderni, chiameremmo stream of consciousness. Non è raro, ed è altamente importante, che ci troviamo, talora, di fronte alla nostra coscienza con un senso di vergogna di e di smarrimento davanti a ciò che non siamo riusciti a fare e a ciò che, nonostante tutte le nostre buone intenzioni e decisioni sempre rimandate, non siamo riusciti a mettere in atto nella nostra vita. La preghiera diventa terapeutica perché ci permette da una parte di nominare la nostra debolezza e guardare in faccia la nostra fragilità senza paura e con lucidità e, dall’altra, ci aiuta a non rassegnarci a noi stessi. Il profeta Daniele ci offre il vocabolario della presa di coscienza, senza dimenticare di assicurarci la sintassi della fede in Dio e in noi stessi come soggetti che restano sempre capaci di cambiamento e di miglioramento. Se la parola che ci tocca forse di più perché ci rappresenta è questa: <Signore, la vergogna sul volto a noi, ai nostri re, ai nostri principi, ai nostri padri, perché abbiamo peccato contro di te> non va sottovalutata l’ultima parola che non è su noi stessi e suona come una professione di fede: <al Signore, nostro Dio, la misericordia e il perdono, perché ci siamo ribellati contro di lui> (Dn 9, 8). Non è certo un caso che il testo cominci proprio così: <Signore Dio, grande e tremendo, che sei fedele all’alleanza e benevolo verso coloro che ti amano e osservano i tuoi comandamenti> (9, 4).

La parola del Signore Gesù sembra indicarci la strada per uscire da questo impasse di <vergogna> (9, 7) attraverso un recupero di dinamismo e di creatività. Tutto ciò si fa esortazione a sognare su noi stessi come capaci di andare oltre gli stretti confini – perlopiù asfissianti – di noi stessi: <Siate misericordiosi, come il padre vostro è misericordioso> (Lc 6, 36) Questa parola del Signore è una parola medica che dà sollievo alla nostra più antica e profonda ferita. Quella di esserci convinti attraverso l’esperienza delle nostre fragilità, di non essere in grado di assomigliare a Dio la cui immagine pure sentiamo essere il segreto e l’essenza più profonda della nostra identità. Pertanto il Signore ci sprona a credere che siamo capaci di essere come Dio e non nella logica della tentazione diabolica che ci fa immaginare chissà quali privilegi e chissà quali potenze, ma nella logica di un amore capace di dono unilaterale e assoluto: <Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurata a voi in cambio> (6, 38).

L’invito all’amore fa tutt’uno con l’invito a perdonare senza misura e senza calcolo non come “operazione virtuosa”, ma come recupero delle proprie “possibilità divine”. Il nostro cammino quaresimale continua all’insegna di una profonda consapevolezza dei nostri limiti intimamente e radicalmente connessa all’invincibile coscienza del mistero divino che ci abita così profondamente da essere il trampolino sempre possibile della speranza non solo per noi stessi, ma per tutti: <Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati> (6, 37). Se noi svuotiamo davanti a Dio il sacco del nostro cuore, l’Altissimo lo riempirà di un amore debordante, un amore che colmerà il nostro vuoto e ci permetterà di farci canali di benevolenza e di perdono.

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