Attendere… una parola

I settimana T.A.

Il gesto di un centurione apre il nostro itinerario quotidiano di Avvento: <gli venne incontro> (Mt 8, 5). Nel vangelo secondo Matteo siamo ancora idealmente alle falde del monte delle Beatitudini ove il Signore Gesù ha appena pronunciato le parole delle beatitudini capaci di dare un colore e un calore di Regno a tutte le nostre umane situazioni. Appena sceso dal monte, ecco che le parole si fanno gesti e l’evangelista Matteo ce ne elenca ben dieci quasi un decalogo non più di comandamenti, ma di tenerezza. Dopo il lebbroso ecco il centurione, dopo quel tocco che supera la barriera eretta da una malattia così religiosa come la lebbra, ecco <una parola> (8, 8) che è capace di andare oltre tutte le nostre estraneità. Il tempo di Avvento ci prepara al Natale in cui contempliamo e accogliamo il Verbo che si fa carne, ed il primo passo di questa marcia verso la luce sembra essere quella di riappropriarci di una parola che sia capace di creare e ricreare continuamente una relazione che sia terapeutica perché umanamente autentica.

Il Vangelo ci ricorda con la figura di questo centurione che il luogo in cui può essere accolta la parola creatrice di Dio cui risponde e corrisponde la nostra parola di adesione e di amore non è il cielo disincarnato delle intuizioni, bensì la terra dell’attenzione che si fa sguardo e intercessione per sollevare e confortare prima di tutto l’altro: <Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente> (8, 6). L’incontro tra Gesù e il centurione avviene a causa di questo <servo> che <soffre terribilmente>. Tra Gesù e il centurione si creano le condizioni di un incontro così forte da generare l’ammirazione del Signore a partire da una condivisa attenzione alla sofferenza che non riesce a rimanere semplicemente spettatrice, ma si fa condivisione e coinvolgimento estreme. Quella <fede così grande!> (8, 10) di cui Gesù parla agli astanti radica in un amore così grande da essere capace di precedere la fede come adesione di fede.

Si ritorna così alla parola originaria con cui Dio ha creato il mondo e comincia a prepararsi nel cuore lo spazio per accogliere la parola che, in Gesù, viene pronunciata ogni giorno sulle e attraverso le nostre umane situazioni, perché divengano una parola di risposta all’opera cominciata da Dio e affidata, ora, al nostro impegno e alla nostra capacità di ricreare continuamente il mondo secondo il progetto amoroso del Padre. Il <messaggio> che Isaia <ricevette in visione> (Is 2, 1) è ciò di cui il Signore Gesù è incarnazione e che richiede a ciascuno di noi di vivere in un dinamismo di obbedienza esistenziale al progetto di Dio sulla nostra umanità. Ancora oggi il Signore risponde: <Verrò e lo guarirò> (Mt 8, 7). Ancora oggi da noi il Signore si aspetta una reazione simile a quella del centurione: <dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito> (8, 8). Ciò che cambia il mondo perché guarisce il nostro modo di vivere e di pensare non sono i gesti di potenza, ma i sottili gesti di tenerezza. Che un centurione si prenda così tanta cura di un <servo> è già segno del Regno che viene ed è l’aurora di una <fede così grande> da fargli prendere posto <a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli> (8, 11).

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