Attendere… la volontà
II settimana T.A. –
La conclusione del vangelo è una sorta di mappa per il nostro cammino di comprensione del mistero di Dio in relazione al mistero stesso della nostra umanità: <Così è la volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda> (Mt 18, 14). Questo dinamismo divino interamente rivolto e coinvolto nella storia della nostra realtà, fatta di angosce e dolori come di gioie e speranza, comporta per noi una grande responsabilità: possiamo essere la causa della gioia, di una grande gioia, per il cuore di Dio, nella misura in cui gli permettiamo di cercarci e di ritrovarci. Così esclama ammirato e stupito Bernardo di Chiaravalle: <Stupenda bontà di Dio, che ci cerca, e stupenda dignità dell’uomo che viene così ricercato! Se questi vuole vantarsene, può farlo senza follia, non perché sia qualche cosa in sé stesso, ma perché colui che lo ha creato l’ha fatto così grande>1. È tale la passione di Dio che, come pastore, non prende e non perde nemmeno il tempo necessario per raccogliere le pecore docili nell’ovile, ma le lascia <sui monti> (Mt 18, 12).
Il testo di Matteo non parla propriamente di un pastore, bensì di <un uomo> che <ha cento pecore e una di loro si smarrisce>. Si può così immaginare che il pastore resti a vigilare sulle novantanove, mentre il padrone in persona si lancia alla ricerca di quella perduta. È anche da notare come il contesto di questa parabola, nel vangelo secondo Matteo, non è la diatriba con gli scribi e i farisei che fanno fatica ad accogliere la logica della misericordia predicata e messa in pratica dal Signore Gesù come avviene nel vangelo di Luca, ma più propriamente nel contesto della vita comunitaria e delle indicazioni evangeliche su come gestire i rapporti non escluse le difficoltà e i conflitti. Se l’invito del profeta Isaia risuona potentemente al nostro cuore e si fa esortazione e guida per un cammino di conversione e attesa che siano autentici, bisogna pure dire che a fare il primo passo della conversione e dell’attesa è lo stesso Signore. Egli per primo <viene> (Is 40, 10) con la potenza della sua passione d’amore per ognuna delle sue creature e lo fa sempre <dolcemente> (40, 11) senza aspettare anzi facendo sempre il primo passo proprio come chi ama di più e desidera di più.
Sì, possiamo fare nostre le parole del profeta: <Ecco il nostro Dio> (cfr Is 40, 9). Ma se ciò vale per noi, siamo chiamati ad essere in grado di farlo percepire ai nostri fratelli e sorelle in umanità attraverso la nostra piena disponibilità a lasciare anche noi ciò che sarebbe più che sufficiente alla nostra vita – novantanove su cento – per lanciarci alla ricerca di quel “centesimo” senza il quale tutta sarebbe sostanzialmente uguale eppure così profondamente diverso, perché terribilmente incompleto. Ciò che è in gioco è la dignità del pastore prima che la sicurezza della pecora smarrita: egli è capace non solo di ritrovarci, ma pure di caricarci sulle sue spalle e portarci sul suo petto come si fa con un piccolo di cui si comprendono gli inevitabili smarrimenti.
1. BERNARDO DI CHIARAVALLE, Discorso 1 per l’Avvento, 8
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