Attendere… da discepoli

II settimana T.A.

Mentre il profeta riesce ad esprimere il nostro timore più profondo e più inquietante che nasce dal dubbio che la nostra vita sia nascosta – e quindi come indifferente – al cuore di Dio, il Signore Gesù ci conforta senza per questo evitarci il peso che la vita con le sue esigenze rappresenta per tutti e per ciascuno. Le parole con cui il Signore conforta e sostiene il nostro cammino di vita sono semplici e, al contempo, essenziali: <Venite a me… il mio peso è leggero> (Mt 11, 28.30). A quest’affermazione del Signore Gesù fa eco la domanda espressa dal profeta Isaia: <A chi potreste paragonarmi, quasi che io gli sia pari?> (Is 40, 25). Queste due parole che la Liturgia ci offre oggi possono essere accolte come i binari su cui far viaggiare, in tutta sicurezza e sostenuta velocità, il treno della nostra discepolanza. Per noi si tratta di farci imitatori del nostro Maestro e Signore. Un maestro di vita spirituale così rammenta: <La prima venuta, nella quale Dio si è fatto uomo, è vissuto in umiltà ed è morto per amore per noi, dobbiamo prenderla a modello, coltivando nel comportamento esterno i modi perfetti delle virtù, e dentro di noi la carità e vera umiltà>1.

Questo cammino di imitazione è possibile per quella infinita condiscendenza di Dio verso la nostra umanità che lo ha portato ad assumerne tutta la fragilità conferendole così rispettabilità ed onore. Perciò il rimprovero del profeta ci riguarda: <Perché dici Giacobbe, e tu, Israele, ripeti: “La mia via è nascosta al Signore e il mio diritto è trascurato dal mio Dio> (40, 27). Al contrario tutta la rivelazione e in modo del tutto particolare nelle parole e nei gesti del Signore, ci viene ricordato quanto e come non solo il Signore ci solleva, ma è perfino capace di portare con noi e per noi il peso della vita, così da farci sentire il bisogno e la gioia di offrire lo stesso servizio di consolazione e conforto ai nostri fratelli e sorelle in umanità, normalmente gravati da pesi che li rendono <stanchi e oppressi> (Mt 11, 28) perfino sotto la maschera della trasgressività. No, la via del nostro vivere e del nostro soffrire non è nascosta al Signore, anzi <egli dà forza allo stanco e moltiplica il vigore allo spossato> (Is 40, 29).

La disponibilità del Signore a farsi compagno di tribolazione e sostenitore di speranza, obbliga ad un serio e rigoroso discernimento per comprendere quando alle fatiche normali e imprescindibili della vita ne aggiungiamo, più o meno consciamente, di inutili e dannose. Mentre i nostri passi si avvicinano ad una rinnovata contemplazione del mistero di un Dio che si fa bambino, ci viene richiesto un passo ulteriore di lucidità su noi stessi assolutamente necessaria per compiere quei passi di carità cui siamo chiamati. Il <giogo>, che nel giudaismo evoca la gioiosa sottomissione alle esigenze della fedeltà alla Torah, diventa per il Signore Gesù la memoria di un Dio che accetta di condividere più che infliggere un peso. Come discepoli siamo chiamati a fare altrettanto, tenendoci risolutamente lontani da ogni forma di pesantezza e di appesantimento.


1. J. VAN RUYSBROEK, Lo splendore delle nozze spirituali, 1.

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