Attendere… come fiaccola

II settimana T.A.

Questa seconda settimana di Avvento si conclude con l’immagine forte e così ambivalente del fuoco. Di Elia, sulla cui falsariga viene presentata la figura del Battista, si dice che <la sua parola bruciava come fiaccola> (Sir 48, 1). Con quest’immagine si indica magnificamente non solo la bellezza e l’utilità di una fiaccola che arde, ma pure il fatto che si accetti di coinvolgere la propria vita in questo ministero di illuminazione accettando di consumare se stessi: nessun fiaccola può ardere e illuminare senza che qualcosa si consumi e in certo modo accetti di morire e di offrirsi. L’evangelista Giovanni ci parla del Battista, quale amico dello sposo, proprio così: <era una lampada che arde e risplende> (Gv 5, 35) e in tal modo evoca assieme al legame di intimità che unisce il Precursore all’Atteso anche il prezzo di dedizione e di autodonazione che ogni vera attesa e ogni autentica preparazione esigono. Inoltre, ogni fiaccola rimanda alla volontà di lasciarsi illuminare e scaldare dalla e alla sua presenza e di questo si fa testimone lo stesso Signore quando, rispondendo alla domanda dei suoi discepoli, afferma: <Elia è già venuto e non l’hanno riconosciuto; anzi hanno fatto di lui quello che hanno voluto. Così anche il Figlio dell’uomo dovrà soffrire per opera loro> (Mt 17, 11).

Siamo chiamati anche noi ad accogliere la presenza del Verbo nella nostra vita come luce e come fuoco capace di trasmettere il suo calore e la sua fiamma alla nostra stessa vita rendendola una fiaccola che si offre liberamente e gratuitamente senza mai imporsi eppure sempre disponibile chiunque si esponga alla sua luce e voglia approfittare del suo calore. In particolare, siamo invitati a illuminare, purificare, infuocare la nostra parola mettendola continuamente in contatto con questa presenza che ci abita e che ci permette di bruciare d’amore. Sapremo andare incontro al Cristo che viene come si va incontro ad un fuoco lasciando che consumi ogni nostra grande e piccola tenebra trasformando così interamente la nostra vita se non in fuoco almeno in un raggio di luce o in una scintilla.

La domanda che i discepoli pongono a Gesù viene espressa nel contesto particolarissimo della discesa dal monte della trasfigurazione ove hanno visto il Maestro con Mosè ed Elia. È chiaro che Gesù è il Messia atteso e questo, nella logica delle attese messianiche, presuppone il ritorno di Elia. Ma quale Elia si attende? Quello <glorioso> (Sir 48, 4) capace di sterminare i sacerdoti di Baal o il più umile profeta soccorso da angeli e da corvi nel deserto di un’amara depressione e paura unita ad un senso di isolamento e di superiorità, che infine incontra sull’Oreb un Dio così diverso da quello del monte Carmelo <nel sussurro di una brezza leggera> (1Re 19, 12)? Le figure evocata dalla Liturgia a metà del nostro cammino di Avvento non ci sono offerte solo per onorarle e farne memoria, ma soprattutto come ispirazione per discernere che cosa realmente attendiamo e per verificare come concretamente attendiamo. La memoria del Battista come quella di Elia ci rimandano alle esigenze di una profonda conversione il cui senso profondo si può riassumere in una frase suggestiva con cui Henry McCabe riassume la sfida dell’intero vangelo: <Se ami sarai messo a morte, se non ami sei già morto>.

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