Accogliere… l’estasi

Ottava di Natale

La differenza del modo di essere umano di Dio e del nostro modo di essere umani ad immagine di Dio è grande e questo è legato ad una questione di essenza: <Dio è amore> (1Gv 4, 8)! L’incarnazione del Verbo di cui l’evangelista Giovanni ci parla in modo magnifico nel suo prologo, non è altro che un’estasi amorosa che rende Dio così vicino a noi da farlo uno di noi, uno dei nostri, più reale e più vero nel suo modo di essere presente nella e accanto alla nostra vita di quanto noi stessi non riusciamo a fare. La Parola di cui ci viene manifestata la carne è il modo per indicare ciò che sta all’origine e alla fonte stessa della vita. Potremmo anche dire che <in principio era l’amore> e l’amore non si incarta, ma si incarna mettendosi a camminare sulle nostre strade di uomini.

Potremmo chiederci, mentre un anno si conclude, qual è la parola che fonda la nostra vita e su cui ogni giorno possiamo ricominciare a sperare e quindi ad amare. Se siamo sinceri dovremo riconoscere che è una domanda che sta al cuore del nostro vivere e del nostro soffrire: <Mi vuoi bene?>  e ancora <Quanto mi vuoi bene?>. Accogliendo questa domanda siamo obbligati a ritrovarla non solo nel nostro cuore, ma anche nel cuore degli altri e a cercare di dare una risposta facendo della nostra esistenza una incarnazione dell’abbraccio stesso di Dio per noi che si fa abbraccio di Dio per tutti. L’apostolo non ha timore a manifestare la sua preoccupazione a motivo di una possibile chiusura all’accoglienza del dono della presenza di Dio tra noi e dentro di noi, tanto da dire con tono severo: <di fatto molti anticristi sono già venuti> (1Gv 2, 18). Ciò non toglie che, nonostante tutto e anche in momenti di maggiore umbratilità, <la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta> (Gv 1, 5).

Nella sua lettera l’apostolo ci conforta e ci aiuta a concludere un nuovo anno sotto il segno di una speranza che non ha niente a che vedere con i soliti auguri, ma che tocca l’essenziale della nostra vita riaccolta come mistero di relazione a Dio che si realizza nel tempo, ma non si identifica con il tempo: <Non vi ho scritto perché non conoscete la verità, ma perché la conoscete e perché nessuna menzogna viene dalla verità> (1Gv 2, 20). Se l’apostolo evoca <l’ultima ora> (2, 18) non certo per spaventarci, ma per incoraggiarci ad un bilancio della nostra vita che non sia retrospettivo, ma prospettico: che cosa ci attendiamo dal tempo che viviamo e che ci è dato di vivere come un dono rinnovato? Se siamo un po’ turbati a motivo di quanto avviene dentro di noi e attorno a noi, la Parola ci conferma con non siamo soli poiché abbiamo <ricevuto l’unzione del Santo> (2, 20). Sotto questa immagine si indica la parola di Dio ricevuta attraverso Cristo Signore (cfr. Gv 6, 69) come pure lo Spirito Santo consolatore che accompagna, guida e conforta il cammino verso il compimento della storia. 

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