Accogliere… l’altro
2 Gennaio –
L’umiltà di Giovanni, che rifulge in tutto il suo splendore nel Vangelo, è per noi una sorta di mappa dei sentimenti interiori con cui vivere questo tempo di preparazione alla solennità dell’Epifania. Ai Giudei che vengono espressamente da Gerusalemme, non necessariamente con intenzioni malevoli e forse nella segreta speranza di dare finalmente un volto e una voce alla loro attesa messianica, il Battista risponde con grande e ardita semplicità: <Io non sono il Cristo> (Gv 1, 20). L’umiltà di Giovanni è indice di verità come passione per l’altro, senza la quale nessuna identità – che sia autentica – è possibile. Due figure si contrappongono nella lettura che la Liturgia ci offre quest’oggi e mentre riprendiamo la quasi-ferialità della vita ordinaria di un nuovo anno che ci viene donato di vivere: da una parte <l’anticristo> che <nega il Padre e il Figlio> (1Gv 2, 22), e il Battista il quale, obbedendo ad una logica completamente diversa, nega se stesso in modo chiaro, solenne e, soprattutto, pieno di passione per l’altro di cui vuole essere solo <voce> (Gv 1, 23).
Giovanni Battista, che ci ha accompagnato nella nostra marcia di avvicinamento al mistero del Natale durante l’Avvento, si fa ancora una volta maestro e modello dell’accoglienza del Verbo fatto carne. Come discepoli dell’unico Maestro, che è l’unico Cristo e Signore rivelatosi nell’uomo Gesù di Nazaret, siamo chiamati ad agire con lo stesso suo cuore illuminato da una limpida consapevolezza che fa della relazione all’altro il centro prezioso e irrinunciabile della vita: <In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete> (1, 26). Proprio questa ignoranza di Cristo così discretamente presente da risultare apparentemente assente e financo inesistente può rendere la nostra vita così priva di senso o, talora, così supponente da rendere il nostro cuore bugiardo.
Siamo noi l’anticristo ogni volta che facciamo troppo caso a noi stessi e riserviamo un’attenzione inadeguata a <coloro che cercano di ingannarvi> (1Gv 2, 26). Ogni mattina siamo chiamati a ritrovare, invece, quell’umiltà appassionata e liberante che ci permette di negare noi stessi per affermare chi vogliamo essere in verità e semplicità: uomini e donne che danno spazio all’altro che riconoscersi allo specchio della vita quali persone autentiche. Nella nostra esperienza di fede siamo chiamati gradualmente a divenire capaci di negare a noi stessi di essere il <principio> e il centro della nostra stessa vita per dare sempre più spazio alla presenza di Cristo nella nostra vita: il suo abitare dentro di noi e camminare con noi è capace di conferire alla nostra esistenza le luci più belle e il senso più profondo. L’apostolo ci annuncia una grande gioia: <Se rimane in voi quel che avete udito fin da principio, anche voi rimarrete nel Figlio e nel Padre. E questa è la promessa che egli ci ha fatto: la vita eterna> (2, 25).
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