Accogliere… la realtà
San Giovanni –
Forse l’evangelista Giovanni aveva ancora in mente quel mattino di Pasqua, quando compose il prologo della lettera che, a partire da oggi, accompagna la nostra meditazione fino in fondo alle <misteriose profondità> (Colletta) del Verbo di Dio e della sua incarnazione. Forse fu proprio dopo quella concitata corsa al sepolcro, dopo aver visto i segni della morte diventati involucro vuoto, che il suo sguardo acquistò il dono dell’intelligenza penetrante: <E vide e credette> (Gv 20,8). Forse solo allora, <l’altro discepolo> (20,4.8) quello <che Gesù amava> (21,20) – colui che la tradizione identifica con Giovanni, il fratello di Giacomo – si accorse che tutti i presagi e le intuizioni nei confronti del Maestro erano realtà e i suoi occhi divennero lo sguardo profondo della prima comunità cristiana: <La vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi> (1Gv 1,2).
La festa del quarto evangelista ci ricorda che il mistero dell’incarnazione di Dio ha bisogno di essere guardato in profondità, per poter essere compreso e vissuto in modo adeguato. Il gesto di amore di un Dio che pone la sua vita nella nostra carne contiene, per quanto ci possa meravigliare, sempre «altro» rispetto a quello che finora abbiamo saputo accogliere e ha potuto trasformare la nostra vita in una risposta al vangelo. Il Natale non è soltanto un avvenimento da vedere, la sua bellezza vuole coinvolgere tutti i nostri sensi: <Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita… noi lo annunciamo anche a voi> (1,1). Solo nella misura in cui il ricordo celebrato della nascita di Gesù Cristo nella carne si approfondisce e diventa contemplazione, si attiva in noi il dinamismo della fede che riesce a cogliere nella splendida umanità del Figlio di Dio il senso ultimo della realtà, cioè il suo <principio> (1,1).
Ma ciò che nella vita si ritiene vero e fondante non può mai concludersi soltanto in un’intima esperienza di contemplazione: <Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi> (1,3). Nella misura in cui scopriamo di essere discepoli amabili davanti al segno della tenerezza di Dio nella carne del Verbo, sorge in noi il bisogno di rendere <testimonianza> (1,2) ai fratelli che incontriamo. Ciò che viene accolto come bello e vero ha bisogno di diffondersi, cerca comunione. Vedere, credere – quindi – annunciare il Verbo della vita: questa resta sempre la strada da percorrere se vogliamo autenticare il Natale che stiamo celebrando nella fede, se desideriamo che <la nostra gioia sia piena> (1Gv 1,4).
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