A pranzo!

XXVIII settimana T.O.

Normalmente un invito a <pranzo> (Lc 11, 37) fa presagire un momento di distensione e di piacevole comunione. Nel caso che ci viene riportato dal Vangelo, invece, proprio l’occasione di un momento che si immaginerebbe condito di cortese fraternità e di amabile compagnia, si trasforma in occasione di malumore e di conflitto. Che cosa scatena questa sorta di ribaltamento della situazione tanto da trasformare un momento che doveva essere piacevole in una situazione imbarazzante per chi ha invitato e per chi è stato invitato? Penso che la risposta a questa domanda possa essere l’incapacità di questo <fariseo> che sembra invitare Gesù nella sua casa per continuare ad ascoltarlo, di non riuscire ad andare oltre la sua abitudine che lo induce piuttosto a giudicare che a lasciarsi toccare e interpellare. Luca ci dice che <mentre Gesù stava parlando un fariseo lo invitò a pranzo>. L’evangelista ci mostra come il Signore Gesù non oppone nessuna resistenza, ma sembra accogliere volentieri e immediatamente questo invito: <Egli andò e si mise a tavola>.

Ed è a questo punto che si fa la verità di questo invito che, sebbene sia stato fatto, sinceramente, nondimeno non è capace di accogliere fino in fondo l’invitato nella sua differenza e, soprattutto, nella sua libertà di onorare un invito senza sentirsi obbligato a sottomettersi a tutte le convenzioni e a tutti gli obblighi. Quando la macchina del giudizio si mette inesorabilmente in moto ciò che è pensato e desiderato per creare comunione e serenità riesce, invece, a creare turbamento e conflitto. Allora il Signore gli disse: <Voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria. Stolti!> (7, 9). A questa parola più chiara che dura pronunciata dal Maestro fa eco la parola altrettanto chiara dell’apostolo: <Perché in Cristo Gesù non è la circoncisione che vale o la non circoncisione, ma la fede che si rende operosa per mezzo della carità> (Gal 5, 6).

La parola dell’apostolo ci permette di penetrare efficacemente all’<interno> del nostro cuore e alla sfida continua di mantenerci puri non nel senso farisaico dell’apparenza che è sempre una forma di acquiescente allineamento per evitare problemi, ma nella linea della libertà che è sempre il modo più autentico per servire all’altro sul piatto della fiducia la verità e la diversità di se stessi. Se immaginassimo la vita come un grande banchetto, allora risulta abbastanza chiaro quanto sia essenziale perché un banchetto sia degno di questo nome, la diversità delle portate e la capacità di gustarne i gusti e le sfumature diverse. Sembra che la Liturgia senta il bisogno di ribadire fortemente una delle parole più forti e coraggiose di Paolo perché la nostra vita di discepoli ne sia quotidianamente segnata: <Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù> (Gal 5, 1). Andiamo al pranzo della libertà!

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