Convertire… in discepolo

Settimana Santa

La Parola di Dio ci fa fare un piccolo passo indietro per svelarci, attraverso il vangelo secondo Matteo, l’antefatto di ciò che ci viene raccontato per ben due volte in due giorni: il tradimento di Giuda il quale <andò dai capi dei sacerdoti e disse: “Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?> (Mt 26, 14-15). Siamo messi di fronte all’abisso, non solo del cuore umano, ma dell’abisso ancora più insondabile del cuore di un discepolo, del nostro cuore di discepoli. Non finiremo mai di riflettere e di interrogarci abbastanza sulle motivazioni profonde che hanno spinto Giuda a tradire il suo Maestro e, forse, persino a non accorgersi fino in fondo di tradirlo. Sono stati molti gli scrittori e gli artisti che hanno cercato di immaginare e di spiegare questo gesto di assoluta negazione di ogni relazione. La parola del Signore Gesù non interviene per prevenire o bloccare il tradimento di Giuda, ma semplicemente prende posizione per non lasciare il discepolo ignaro di ciò che veramente sta avvenendo, prima di tutto e innanzitutto, nel profondo del suo cuore.

Giuda si presenta ai sacerdoti con una proposta: <… perché io ve lo consegni> e ancora <cercava l’occasione propizia per consegnare Gesù> (26, 15-16). Il Signore Gesù, nella solenne e commovente cornice della cena pasquale preparata con una cura non solo particolare, ma unica, chiarisce a tutti – e soprattutto a Giuda – quello che veramente sta succedendo. In tal modo si rivela che ciò che sta accadendo è ciò che deve avvenire: <In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà> (26, 21). Giuda pensa di consegnare il Maestro, il Signore Gesù rivela al discepolo che non può consegnare chi già si è consegnato liberamente. Per questo Giuda, nella confusione più totale del suo cuore smarrito e ottenebrato, pone con una certa ingenuità e sincerità la domanda: <Rabbì, sono forse io?> (26, 25). Giuda pensa di consegnare – il gioco di parole nelle lingue antiche è strettissimo – e da Gesù viene a sapere di essere un traditore; Giuda pensa di essere il soggetto del suo atto di consegna, che sembra quasi un ultimo sussulto di protagonismo possibile contro il sempre più chiaro anti-protagonismo storico del Maestro, e scopre invece di essere soggetto, nel senso di prigioniero, della sua delusione e della sua rabbia che lo hanno reso una pedina più che un protagonista.

In realtà, il vero dramma di Giuda, che rischia di essere il nostro stesso dramma, è quello di non essere mai stato un vero discepolo, non avendo accettato il suo posto e il suo proprio ruolo. Ciò che il profeta Isaia indica come l’atteggiamento proprio del <discepolo> (Is 50, 4) viene smarrito dall’apostolo Giuda che in realtà si tira <indietro> nell’aprire <l’orecchio> (50, 5) preferendo, almeno da un certo punto in avanti, di perdersi nell’illusione di poter persino dirigere il destino del suo Maestro. Il Signore Gesù chiarendo e rivelando che <il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui> (Mt 26, 24) fa crollare l’illusione di Giuda di avere assunto un ruolo nella storia. La parola di Dio ci parla di uno degli apostoli che a un certo punto decide di smettere di essere <discepolo>, il pericolo di cadere in questa medesima trappola non è da sottovalutare per ciascuno di noi, per la Chiesa stessa, chiamata ad essere in tutto conforme al cuore del suo Sposo e Signore. Non dobbiamo mai dimenticare che quando si vende qualcuno, in realtà, non si fa altro che vendere se stessi. Giuda “vende” il suo Maestro al prezzo dello schiavo e della donna. Giuda ha bisogno di de-prezzare il Maestro per sovrastimare se stesso, ma il Signore non è schiavo proprio perché vuole essere un servo. Quel terribile <Guai> che ci atterrisce sarebbe da tradurre con <poverino!>. Giuda sceglie di consegnare Gesù senza rendersi conto che Gesù si consegna per lui per dargli ancora un po’ di tempo per ascoltare veramente.

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