Convertire… purificarsi

V settimana T.Q.

L’evangelista Giovanni annota che sono molti coloro che salgono a Gerusalemme <per purificarsi> (Gv 11, 55). Anche noi siamo ormai chiamati a salire a Gerusalemme con Gesù e per Gesù al fine di purificare la nostra vita e poter celebrare la Pasqua. La purificazione comporta abitualmente un lavacro e sarà proprio il Signore Gesù a lavare i piedi dei suoi discepoli nell’imminenza della sua passione. Per noi vale lo stesso: dobbiamo purificarci da tutto ciò che non ci permette di stare serenamente e amorevolmente ai piedi dei nostri fratelli, accettando – cosa ancora più difficile talora – che qualcuno lavi i nostri piedi. Nondimeno c’è pure un altro modo di celebrare, o di prepararsi a celebrare, la Pasqua ed è quella dei sacerdoti, dei farisei, del sommo sacerdote che sono così presi dalla preservazione del loro sistema di vita da non aver nessun timore nel sacrificare la vita di altri pur di non mettere assolutamente in pericolo il proprio equilibrio e le proprie abitudini: <Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!> (Gv 11, 50). 

La soluzione del sommo sacerdote parrà abbastanza equilibrata e per certi aspetti saggia – la “ragion di stato” che può diventare persino “ragion di Chiesa” – entra in contrasto con quella volontà salvifica universale che non sopporta nessuna logica sacrificale che immola l’altro, bensì che offre sempre e solo se stesso. L’evangelista Giovanni, come spesso avviene sotto la sua penna, spiega teologicamente quanto il sommo sacerdote ha appena detto: <profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi> (11, 51-52). Giustamente, la Liturgia prepara l’ascolto del Vangelo riprendendo un testo del profeta Ezechiele in cui il desiderio di ricondurre e di radunare è inseparabile da quello di liberare e purificare e si conclude con una solenne promessa: <e saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio> (Ez 37, 23).

Alla vigilia dell’inizio della Settimana Santa, come credenti e come discepoli siamo chiamati a purificare il nostro cuore per entrare con Gesù a Gerusalemme in piena disponibilità a fare dono della nostra vita come il Signore. Sicuramente anche per noi è necessaria una certa purificazione interiore, e la Parola di Dio racchiusa nelle Scritture ci indica la via e il modo di questa purificazione che non può accontentarsi semplicemente di qualche rito, ma deve toccare profondamente il nostro vissuto. Per essere degni e atti a celebrare la Pasqua di Cristo è necessario assumere la sua logica che non può avere nulla in comune con quella dei notabili, così preoccupati di se stessi tanto che <Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo> (Gv 11, 53). Per costoro sembra necessario far sparire i segni del Regno che viene in Gesù: che i ciechi sanati recuperino la loro cecità, che i raddrizzati ritrovino la loro barella, che i risuscitati, come Lazzaro, siano più decisamente uccisi e fatti scomparire. Naturalmente, mentre contempliamo la scena di questa iniqua decisione – aggravata dalla sua apparenza religiosa – siamo chiamati a dubitare di noi stessi. Non è poi così sicuro e non è assolutamente scontato che il nostro modo di pensare, di agire, di decidere sia veramente diverso da quello dei notabili del popolo. Così pure non è detto che la nostra benevola curiosità come quella di quanti salgono a Gerusalemme per la Pasqua sia veramente innocua: <Che ve ne pare? Non verrà alla festa?> (11, 56). Sarà proprio quella medesima folla ad acclamare Gesù come Messia e a richiedere insistentemente a Pilato la sua condanna a morte. Non è facile sapere dove siamo con il nostro cuore, la nostra mente, la nostra volontà, il nostro discernimento. Certo, possiamo purificarci come la folla, ma ancor più essenziale è che ci lasciamo purificare dai nostri <idoli> (Ez 37, 23). 

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