Convertire… i serpenti

V settimana T.Q.

Non possiamo nascondere il nostro stupore davanti alla conclusione del vangelo, ed è uno stupore pieno di ammirazione e di speranza: <A queste sue parole, molti credettero in lui> (Gv 8, 30). La domanda si fa legittima: che cosa mai in queste parole del Signore Gesù quei <molti>, di cui vorremmo far parte, hanno trovato una parola che li ha toccati così profondamente da aprirli ad un’adesione di fede così pronta e semplice? I notabili ironizzano sull’orizzonte cui il Signore cerca di aprire le loro menti e i lori cuori e che si pone ad un livello diverso da quello cui sono continuamente abituati: <Vuole forse uccidersi, dal momento che dice: “Dove vado io, voi non potete venire”?>. (8, 22). La gente più semplice intuisce nelle parole del Signore il segno di qualcosa che trascende ogni paura e apre una possibilità reale di uscire dal circolo degli avvelenamenti quotidiani che ci tengono come crocifissi al <quaggiù> (8, 23) di tutte quelle abitudini, usi, modi di fare che, in realtà, ci paralizzano come farebbe il veleno di <serpenti brucianti> (Nm 21, 6).

L’immagine del libro dei Numeri evoca tutto quello che dentro di noi brucia fino a ad avvelenarci e per molti aspetti, ucciderci: i nostri fallimenti, le nostre fragilità, il nostro rammarico, le nostre più o meno latenti patologie… in una parola la nostra realtà di limite che, se non assunta, diventa esperienza di peccato. Ora tutto ciò invece di essere ignorato o eliminato viene, invece, dal Signore <innalzato> (Gv 8, 28) poiché viene portato ad un livello diverso in cui ognuno di questi veleni può, attraverso un amore purificante, trasformarsi in un antidoto e in una vera medicina. La croce del Signore diventa così la ripresentazione del roveto ardente del deserto in cui il Signore rivela a Mosè di non temere la sua debolezza e la sua paura che l’hanno fatto fuggire dall’Egitto, fino a trasformarle in strumento di salvezza non solo per se stesso, ma per tutto il popolo.

I rabbini spiegano che il Signore Dio si rivelò in un roveto perché esso ha molte spine e queste rappresentano le sofferenze e le prove della vita umana. Il Signore Gesù contrappone, alle infinite discussioni accademiche degli scribi e dei farisei, se stesso quale uomo dei dolori che sarà innalzato sulla croce nudo, come un serpente, e coronato di spine, come un roveto ardente, il cui amore bruciante non si consuma, pur continuando a donarsi. Sulla croce la pienezza della Rivelazione di Dio si manifesta ancora una volta nel disarmo più totale che diventa per ogni discepolo l’indicazione dell’unica strada e dell’unico modo per non cadere sotto l’autocondanna a morire nel proprio <peccato> (8, 21) la cui radice è quella di non accettare di lasciarsi salvare da uno sguardo accolto e ricambiato.

Sapremo resistere a fissare lo sguardo sull’Uomo dei dolori che ben conosce il patire e accettare che egli lo ricambi con il suo sguardo infuocato che incenerisce tutto ciò che in noi è secco e spinoso? Il cammino verso la Pasqua può diventare per noi un vero processo interiore di riconciliazione con la nostra fragilità e vulnerabilità che possono così diventare un luogo non di maledizione, ma di relazione che fa crescere nella consapevolezza di sé e in una solidarietà sempre più dilatata e profonda.

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