Convertire… lo spreco
I settimana T.Q. –
Vogliamo introdurci nella meditazione dei testi che la Liturgia ci propone per questa ulteriore tappa del nostro cammino quaresimale riprendendo un testo di papa Francesco: <Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa. Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal mondo che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”>1. Il Signore ci mette in guardia da un rischio sempre in agguato quando ci mettiamo in atteggiamento di preghiera: <non sprecate parole come i pagani> (Mt 6, 7). Eppure, non basta evitare lo spreco delle parole se la preghiera non forma nei discepoli uno stile in cui la sobrietà si accompagna in modo del tutto naturale e necessario alla solidarietà.
Per questo siamo invitati a ritmare la preghiera prima di tutto con l’invocazione: <Padre nostro…> (6, 9) fino a farci voce di ogni fratello e sorella in umanità che si volge verso il suo Creatore sperando e chiedendo ogni giorno quello che viene definito e invocato come <il nostro pane quotidiano> (6, 11). L’attenzione a non sprecare parole diventa preoccupazione di non sprecare nulla per condividerlo con tutti. Questa condivisione deve avvenire non in forma di semplice elemosina, ma come segno di una coscienza di appartenere tutti alla stessa terra e di dover condividere ogni dono con tutti perché è stato creato per tutti e donato per il bene e la felicità di ciascuno. La preghiera del Signore rappresenta per ogni discepolo la sfida quotidiana di una conversione in cui il posto di Dio nella propria vita è continuamente verificato dallo spazio che sappiamo dare agli altri fino a mettere la nostra vita a loro servizio.
Anzi, la preghiera del Signore ci porta ancora più lontano quando ci fa dire: <rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori> (6, 12). Il fatto che questo passaggio della preghiera sia così essenziale è confermato dal fatto che il tema è ripreso come conclusione e quasi come sigillo autenticante di ogni preghiera che sia riconoscibile come propria dei discepoli di Cristo: <Se voi infatti perdonerete agli altri…> (6, 14). Così il perdono diventa la condizione necessaria alla preghiera e la garanzia che essa faccia la stessa strada – al contrario – della Parola di Dio. Solo così la preghiera potrà salire al cielo in modo efficace e fecondo così che <dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia> (Is 55, 10). Di fatto alla <pentola di fagioli> della ripetizione di formule di preghiera si oppone un atteggiamento di umile ascolto che si fa sensibilità verso i nostri bisogni di cui possiamo serenamente parlare a Dio, ma anche dei bisogni degli altri, primo fra tutti quello di essere perdonati… un modo per dire essere accettati per quello che si è in realtà e nonostante tutte le proprie buone intenzioni e i propri sforzi.
Così la preghiera crea un mondo stupendo in cui ci si può parlare e ci si può ascoltare: questo è il miracolo della preghiera che fa tutt’uno con il miracolo dell’amore.
1. PAPA FRANCESCO, Evangelii gaudium, 53.
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