Come

VII settimana

<Diventare come dei bambini significa accettare di perdere terreno. Non si entra nella luce di Dio senza fare naufragio. Bisogna accostarsi al mistero del Regno di Dio con una mente completamente liberata di chi non ha idee preconcette e nessun programma prestabilito>1. Tutto ciò non può che essere insopportabile per i “saggi” di questo mondo e, ancor meno pensabile, per gli emancipati. Per un bambino, invece, e per chi ha un cuore ritornato alla semplicità, non c’è niente di più bello che lasciarsi andare verso ciò che non è conosciuto, a motivo, di una interiore disposizione alla meraviglia per ciò che sfugge alla comprensione immediata: inedito che apre, invece, ad orizzonti sempre inattesi. Ogni volta che ci troviamo dinanzi ad un piccolo è come se il nostro cuore tornasse, in mode del tutto naturale, all’esultanza delle origini quando <Il Signore creò l’uomo dalla terra> (Sap 17, 1) e ci <rivestì di una forza pari alla sua> tanto da farci <a sua immagine> (17, 3).

Nondimeno, la memoria dei doni della creazione è sempre congiunta al dovere irrinunciabile dell’attenzione e della cura soprattutto verso coloro che non possono prendersi cura di se stessi. La prima lettura è come se traesse le conseguenze della contemplazione meravigliata del dono della creazione da questa amorevole attenzione sorgiva, tanto da sentire il bisogno di passare all’esortazione: <Guardatevi da ogni ingiustizia!>; un’esortazione che diventa, fattivamente, un invito chiaro a <prendersi cura del prossimo> (17, 14). Nel Vangelo troviamo come, il Signore Gesù, non esita ad entrare in conflitto aperto persino con i suoi discepoli quando c’è in gioco proprio questa disponibilità e lasciarsi meravigliare e interrogare dal mistero della vita nel momento in cui essa si presenta nella sua forma più originale e fragile, proprio come nella realtà di quei <bambini> (Mc 10, 13) che gli vengono presentati perché possano entrare in contatto con la sua persona e sentire il beneficio del tocco della sua persona.

Se i discepoli si sentono infastiditi dalla presenza di questi piccoli e dal desiderio delle loro madri di farli entrare in contatto con il Maestro, il Signore Gesù, al contrario, si schiera completamente dalla loro parte tanto che <s’indignò> e non lesinò di opporsi: <Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno di Dio> (10, 14). Il messaggio non è solo quello di un’accoglienza dei piccoli, ma è soprattutto un segnale voluto per i discepoli, chiamati a misurarsi proprio con questi bambini per discernere l’autenticità della loro sequela. Il <come> evocato dal Signore Gesù si staglia come una sorta di necessario banco di prova per ogni discepolo chiamato a verificare le motivazioni autentiche che lo mettono alla sequela di Cristo. Come ricordava Giovanni Crisostomo un bambino preferirà sempre la sua mamma persino ad una regina vestita magnificamente e ricoperta di gioielli dalla testa ai piedi. La domanda è per noi: <e noi cosa preferiamo, il semplice contatto con Gesù e la familiarità con Lui o ciò che questo può assicurarci in termini di privilegi?>. Così pure possiamo risentire le parole di Teresa di Lisieux: <Ah, mai parole più tenere, più armoniose hanno allietato l’anima mia, l’ascensore che deve innalzarmi fino al Cielo sono le vostre braccia, Gesù! Per questo non ho bisogno di crescere, al contrario bisogna che resti piccola, che lo divenga sempre più. Dio mio, avete superato la mia speranza, ed io voglio cantare le vostre misericordie>2.


1. M. D. MOLINIÉ, Le combat de Jacob, Cerf, Paris 1967, pp. 116

1. TERESA DI LISIEUX, Scritto autobiografico, C.

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