Credere oltre
VII settimana –
In Vaticano si può ammirare – con una certa commozione – la bellissima tela di Raffaello raffigurante la Trasfigurazione del Signore. È da notare, in questo capolavoro, la differenza dalla tipologia iconica della tradizione orientale. Infatti, l’artista pone il monte Tabor – su cui il Signore Gesù quasi vola nella sua luminosa bianchezza attorniato dai tre discepoli – sullo sfondo della pianura. Qui, in primissimo piano, troviamo un ragazzo accompagnato da suo padre con gli occhi stralunati e, chiaramente, s-figurato da una malattia terribile come l’epilessia. Raffaello sembra aver colto il mistero della Trasfigurazione in tutta la sua completezza e potremmo trascrivere così la sua intuizione: tra-S-figurazione. Del resto, la luce del Tabor, non è forse la chiave di lettura che il Signore dà ai suoi discepoli per poter sopportare e comprendere la tenebra del Calvario di cui – Luca ce lo dice chiaramente – Gesù parla con Mosè ed Elia proprio in quell’occasione (Lc 9, 31)?
La Trasfigurazione del Signore è legata all’esperienza della s-figurazione continua che l’uomo si trova ad affrontare, nella pianura del suo combattimento spirituale, contro quelle forze del male che <Dovunque lo afferri, lo getta a terra ed egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce> (Mc 9, 18). Questo povero padre non esita a rispondere a Gesù che gli chiede con tono commovente: <Da quanto tempo gli accade questo?> (Mc 9, 21). La risposta è semplice, immediata, circostanziata: <Dall’infanzia; anzi, spesso lo ha buttato anche nel fuoco e nell’acqua per ucciderlo. Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci> (Mc 9, 22). Ciò che tocca il cuore del Signore Gesù è questa solidarietà così profonda ed intima tra padre e figlio, da considerarsi inestricabile. Questa partecipazione assoluta ci fa pensare al grido di Gesù sul Calvario (Mc 15, 34). Così questo figlio di cui <molti dicevano: “E’ morto”> (Mc 9, 26) diventa profezia del mistero della croce e speranza di possibile risurrezione. Con una delicatissima forza <Gesù, lo prese per mano, lo fece alzare ed egli stette in piedi> (Mc 9, 27).
Come può tutto questo avvenire nella nostra vita così da passare attraverso la s-figurazione del quotidiano e giungere alla tra-s-figurazione dell’amore? La risposta ce la dà il Signore Gesù quando conclude dicendo: <Questa specie di demoni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera> (Mc 9, 29). Quanto Gesù invita a sperimentare viene confermato da un altro Gesù – il figlio di Sirach – che nella prima lettura dice: <Il Signore stesso ha creato la sapienza: l’ha vista e l’ha misurata… l’ha elargita a quanti lo amano> (Sir 1, 9). Solo la sapienza che viene dal Signore può farci porre davanti al Signore e davanti alla vita in modo sempre più adeguato, ossia, sempre più orante: <Credo, aiuta la mia incredulità> (Mc 9, 24). In queste parole è racchiuso il segreto della preghiera che è coscienza della propria povertà, unita alla percezione della grandezza di Dio che <solo è sapiente> (Sir 1, 8) e ama comunicare la sua vita, la sua luce e la sua gioia. In questa comunicazione trasfigura, lentamente ed efficacemente, tutto il nostro essere a condizione che ci abbandoniamo al calore della sua luce, facendo della nostra intera esistenza una scuola di preghiera e della preghiera una scuola di vita. È in questo dinamismo dialogante che ci sarà permesso di credere oltre e dentro ogni nostra <incredulità>, spesso legata al peso del dolore e all’incomprensibilità della sofferenza.
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