Meglio

IV settimana T.O.

Quello dell’indemoniato di Gerasa è uno dei racconti più circostanziati che l’evangelista Marco ci offre nel suo Vangelo. Il contesto è quello di una svolta nel cammino e nella missione del Signore Gesù. Per la prima volta Gesù unitamente ai suoi discepoli si lascia alle spalle la Giudea e s’inoltra dall’altra parte del Giordano. In quei luoghi, così vicini a Gerusalemme eppure così lontani, si sente maggiormente il peso e il giogo dell’occupazione straniera a motivo del pericolo più grande di essere quasi contaminati da ciò che si oppone alla purezza della fede. Il fatto che vi si allevino, in grande quantità, dei porci, è segno che qualcuno deve pure mangiarli! La terra è occupata da ciò che rischia di snaturarla. Così il cuore e la vita di quest’uomo, che esce incontro a Gesù dai sepolcri, è segnato da una sofferenza e da una rabbia che rischia di farlo vivere in uno stato più simile a quello degli animali – tra l’altro i più immondi – condannandolo ad una vita disumana.

L’indemoniato di Gerasa è interiormente combattuto tra il desiderio di uscire dallo stato in cui la sua vita è stata prostrata e il bisogno, fatto di abitudine e di strana, quanto dolorosa complicità, con il male che lo abita, tanto che una parte di sé si fa interprete del desiderio – meglio sarebbe dire del non-desiderio – del mondo in cui abita: è troppo presto per la salvezza! Sì, sarebbe bene riceverla, ma non troppo presto perché questo significa un incremento di vita che comporta una serie di cambiamenti e di imprescindibili rinunce. 

La parola pronunciata dalla Legione di demoni non è altro che l’espressione anticipata di ciò che gli abitanti della regione chiederanno al Signore Gesù: ritornarsene da dove era venuto perché è troppo presto per accogliere fino in fondo, e in pienezza, il dono di quella libertà fatta di molteplici e continue liberazioni dalle innumerevoli catene che ci tengono prigionieri e schiavi. Forse, proprio lo svantaggio di quell’uomo ormai ridotto allo stremo della vita, era proprio il fatto di non avere più niente da perdere, tanto da sentire in Gesù, la sua ultima possibilità per poter finalmente passare o di qua o di là: o nella vita o nella morte. La legione non è d’accordo, la gente del luogo neanche, non resta a Gesù che ritornarsene dall’altra parte del lago, dopo aver posto comunque, un segno forte e indimenticabile: la liberazione è possibile! A noi scegliere di aprire le porte e di accettare di entrare nella sua dinamica di liberazione e di vita.

I Geraseni non hanno dubbi sul da farsi: <si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio> (Mc 5, 17). I demoni, a loro volta, non avevano avuto alcun dubbio: <Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi> (5, 12). L’autore della Lettera agli Ebrei ci ricorda che Dio <aveva predisposto qualcosa di meglio> (Eb 11, 40). Ma il meglio che il Signore ci vuole offrire esige, sempre e comunque, la disponibilità a riprendere la strada della vita con una responsabilità e creatività veramente nuove che non ci permettono di <restare> (Mc 5, 18) ma ci chiedono, piuttosto, di andare sempre oltre.

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