Accogliere… i perché!

Santa Famiglia

La contemplazione del mistero della famiglia di Gesù è un vero annuncio di gioia e di salvezza. La famiglia di Nazaret è, infatti, così particolare ed è segnata da una solitudine che sta alla base della vita in una comunione in cui i sentimenti più forti sono come levigati dal rispetto assoluto per il cammino dell’altro in cui le parole, in realtà, sono rare. Di Giuseppe non ci viene tramandata nemmeno una parola, nemmeno nel momento del ritrovamento di Gesù nel Tempio quando Maria riesce a confessare al figlio quanto erano stati <angosciati> (Lc 2, 48). La risposta non è certo un balsamo, anzi sembra quasi un pizzico di sale che trasforma quello che poteva sembrare un incidente in uno stile: <Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?> (2, 49). Le prime parole di Gesù sono una domanda e non una risposta. Sembra che siano i suoi genitori a dover dare una risposta e non il contrario. E la prima risposta sembra essere quella contro ogni angoscia che esprime la paura di perdere e di smarrire l’amore così come viene espressa dal cuore della madre: <Figlio, perché ci hai fatto questo?> (2, 48).

Se è vero che la conclusione del testo suona come un primo piano dell’attitudine proprio del Signore Gesù il quale <Scese dunque con loro e venne a Nazaret e stava loro sottomesso> (2, 51), nondimeno questo sembra non possa avvenire senza una chiara presa di distanza di Gesù dai suoi genitori quando <rimase a Gerusalemme> (2, 45). La famiglia che accoglie il Verbo è un luogo in cui si sanno accogliere le inevitabili separazioni che sono il necessario preludio alle necessarie identificazioni con la propria missione che fa tutt’uno con il mistero della propria persona. Sembra che Giuseppe, Maria e Gesù abbiano appreso l’uno accanto agli altri l’arte della vera comunione che è custodia assoluta del mistero della propria solitudine in cui i sentimenti non vengono temperati, ma sono temprati con la disponibilità a dare all’altro tutto lo spazio per essere fedele a se stesso. La parola di Giovanni sembra aver potuto guidare le scelte profonde della famiglia di Nazaret: <se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio> (1Gv 3, 21).

Questa parola dell’apostolo che la tradizione riconosce come particolare esperto nell’amore, ci offre una luce per comprendere e per discernere. Cosa dovrebbe essere una famiglia e soprattutto a cosa serve una comunione di vita? La risposta sembra essere di fare spazio <al cuore> e di far maturare per quanto dolorosamente un senso di <fiducia in Dio> senza la quale persino la fede potrebbe degenerare in un’autocertificazione che rischia di accecare e di precludere le vie di un’obbedienza nelle fede che è sempre un’obbedienza nell’amore. Anna si fa profezia della logica ineluttabile della vita: <Anch’io lascio che il Signore lo richieda: per tutti i giorni della sua vita egli è richiesto per il Signore> (1Sam 1, 28). Anna riprende il suo cammino di solitudine e lascia che Samuele faccia il suo cammino davanti a Dio per diventare se stesso fino ad essere costituito profeta. L’apostolo Giovanni ci rammenta con forza l’essenziale: <vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente> (1Gv 3, 1). La sfida della vita credente è rinunciare ad ogni forma di paternità e maternità come auto-eternazione per entrare nella comune avventura di figliolanza che ci rende fratelli e sorelle più che madri e padri. Lo stesso apostolo ci dà pure un criterio di discernimento: <In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato> (3, 24). Lo Spirito che ha adombrato Maria rendendo possibile l’impossibile, lo Spirito che ha reso capace Giuseppe di decidere liberamente di mettere al primo posto l’amore invece di difendere il suo onore, lo Spirito che ha sospinto Gesù sulle nostre strade e lo ha reso raffinato compagno dei nostri sogni e dei nostri smarrimenti.

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