Attendere… uno spazio
I settimana T.A. –
La parola della Liturgia apre il nostro cuore alla speranza di avere, infine, uno spazio in cui poter sperare, in cui potersi sentire al sicuro non nel senso di una protezione infantilizzante, ma nella dimensione di un ambito a nostra misura in cui ci sia permesso di crescere e di far crescere. Il segno che lo spazio della <casa> (Mt 7, 24) che andiamo edificando nella e con la nostra vita sia fondata sulla <roccia> e perciò possa ritenersi veramente <salda> (Is 26, 3) è che continuamente risuoni, dai suoi più alti bastioni, un grido chiaro e forte: <Aprite le porte> (26, 2). La solidità della città del nostro cuore è direttamente proporzionale alla capacità di aprire i nostri cuori ad un’accoglienza sempre più dilatata e insensibile ad ogni paura perché fondata su quella <volontà del Padre> (Mt 7, 23) che ci riconosce tutti come suoi figli e ci pensa tutto come fratelli. Si può leggere il testo di Isaia come la parabola della città rovesciata! Infatti, il profeta parla del nostro Dio come colui che edifica, certo, ma pure come colui che <ha abbattuto coloro che abitavano in alto, ha rovesciato la città eccelsa, l’ha rovesciata fino a terra, l’ha rasa al suolo> e se non bastasse Isaia non ha nessun timore ad aggiungere un’ulteriore nota chiarificatrice: <I piedi la calpestano: sono i piedi degli oppressi, i passi dei poveri> (Is 26, 5-6).
Queste parole profetiche, unitamente a tante altre simili che ritmano il fluire delle Scritture, hanno ispirato il Cantico della Madre del Signore che, davanti all’estasiata esclamazione di Elisabetta, punta lo sguardo sul mistero non della sua eccezionalità e singolarità, ma sulla sua profonda partecipazione alla storia di salvezza dei più poveri che esige, necessariamente, la conversione di quanti sono troppo ricchi da essere motivo di oppressione. La parabola del Signore è un invito a creare nella nostra vita uno spazio di salvezza che esige una certa saldezza in cui si rifletta ciò che viene evocato dal profeta Isaia: <La sua volontà è salda; tu le assicurerai la pace, pace perché in te confida> (26, 3). L’amore di Dio si offre a noi come casa sicura e ben fondata non perché sia esente da minacce, ma perché capace di resistere graziosamente e solidamente.
Rassicurandoci, il Signore ci chiede pure di verificare onestamente la nostra vita per comprendere meglio il motivo per cui vogliamo costruire e verificare il modo con cui ci siamo messi all’opera. Il profeta parla di una città che viene offerta da Dio al suo popolo per consolarlo delle sofferenze inflittegli dalla grande e potente Babilonia. Le sue imponenti costruzioni e i suoi splendidi giardini impressionavano la fantasia di quei <poveri> che il Signore predilige e sotto i cui <piedi> (26, 6) fa sgretolare tutti i sogni di onnipotenza autoreferenziali. La <roccia> (Mt 7, 24) di cui ci parla il Signore Gesù non è altro che la coscienza chiara di non poter in nessun modo fondare la nostra vita su noi stessi, ma nella fede che ci rende pienamente fiduciosi tanto da non avere nessuna paura di aprire <le porte> (26, 2) facendo così della nostra vita uno spazio aperto e al contempo sicuro.
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