Più forte

XXXIV settimana T.O.

Il tono del discorso di Gesù cambia e si fa assai sereno! In realtà i toni forti che precedono il testo di oggi sembrano essere pensati ad effetto per farci sentire, ancora di più e ancora meglio, la forza racchiusa in un germoglio discreto, piccolo, incapace di imporsi eppure così capace di fare sperare il meglio per se stessi e per gli altri. La conclusione della parabola del fico ci riporta a noi stessi: <Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino> (Lc 21, 31). Il cardinal Newman pregava così: <Mostrati, Signore, come nel tempo della tua Natività, in cui gli angeli visitarono i pastori. Che la tua gloria si schiuda come i fiori e le foglie sugli alberi. Per quanto brillanti siano il sole, e il cielo, e le nuvole, per quanto verdeggianti siano le foglie e i campi, per quanto dolce sia il canto degli uccelli, sappiamo che non è tutto lì, e non scambieremo la parte per il tutto. Queste cose procedono da un centro di amore e di bontà che è Dio stesso. Ma esse non sono la sua pienezza. Parlano del cielo, ma non sono il cielo; sono soltanto, in un certo senso, dei raggi dispersi, e un fioco riflesso della sua immagine; sono soltanto le briciole che cadono dalla tavola>1.

La prima lettura si conclude con una immagine certamente più potente e più ampia, eppure ci rammenta, con altre parole e con diverse emozioni, la stessa cosa: <E vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più> (Ap 21, 1). All’immagine del germoglio primaverile e a quella di una città splendente di bellezza e di gloria, l’Apocalisse ne aggiunge ancora un’altra che completa l’evocazione della vita rinascente e della bellezza architettonica che rimanda all’armonia, quella più intima e non meno necessaria: <E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo> (21, 2). Alla fine di un percorso come quello di un anno liturgico, la Liturgia sembra offrirci materiale sufficiente per un esame di coscienza che sia un modo coraggioso di fare il punto del nostro processo interiore: il livello e la qualità della vita, l’armonia tra tutte le componenti dell’esistenza perché diano spazio ad un’architettura dello spirito e delle relazioni umane, il respiro profondo di un’intimità con Dio che crei le condizioni di solidarietà con i nostri simili.

A partire da questi tre punti risulta chiaro che il dono di una terra nuova, in cui si possa coltivare una speranza nuova per tutti, è certamente un dono che viene dall’alto – che viene da Dio – ma che pure ha bisogno di tutta la nostra complicità in modo che possa portare il frutto di una felicità condivisa. L’Apocalisse ci ricorda che dobbiamo tenere alla <catena> (Ap 20, 1) tutto ciò che si oppone alla vita, all’armonia, all’intimità. Il veggente di Patmos ci ricorda pure che ogni vola che noi acconsentiamo a ciò che dilata la gioia questo viene scritto nel <libro della vita> (20, 12). La nostra fiducia è grande: <Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno> (Lc 21, 33).


1. J. H. NEWMAN, PPS, IV, 13.

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