Fatica
XXXIII settimana T.O. –
Cominciamo quest’oggi la lettura del libro dell’Apocalisse che ci accompagnerà in queste due ultime settimane dell’anno liturgico preparando così i nostri cuori e le nostre menti a riprendere un nuovo cammino di Avvento: <Rivelazione di Gesù Cristo, al quale Dio la consegnò per mostrare ai suoi servi le cose che dovranno accadere tra breve> (Ap 1, 1). Nulla di sinistro e di allarmante nelle intenzioni di Dio nel momento in cui cerca di aprire il cuore dei suoi servi a ricevere le chiavi necessarie per comprendere il mistero della storia e attraversarlo con consapevolezza e come luogo di realizzazione interiore: <Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia e custodiscono le cose che vi sono scritte> (1, 3). Per quanto nel libro dell’Apocalisse ci siano pire brucianti di <guai> e vengano evocate immagini forti e inquietanti, il loro scopo non è quello di farci sprofondare in un’angoscia paralizzante, ma di aprirci ad una luce nuova su noi stessi e sulla stessa storia di cui siamo inevitabilmente parte e non raramente anche protagonisti secondo le misure proprie della nostra personalità, dei nostri doni e delle nostre responsabilità.
La rilettura dell’Apocalisse potrebbe essere per noi l’occasione di creare una sorta di vocabolario della speranza cui attingere continuamente le parole e i gesti per portare avanti con <perseveranza> (2, 2) il nostro cammino. Oggi potremmo mettere nel salvadanaio della nostra riserva di speranza una parola: <fatica>! Il Signore, attraverso il veggente, parla al nostro cuore e non lo fa con toni minacciosi, ma in modo esigente: <Conosco le tue opere, la tua fatica> e aggiunge <Sei perseverante e hai molto sopportato per il mio nome senza stancarti> (2, 2-3). In modo del tutto naturale possiamo chiederci a che cosa corrisponda realmente la <fatica> evocata dall’Apocalisse. Se leggiamo con attenzione il Vangelo forse potremmo dire che si tratta della duplice fatica di riconoscere in Gesù il nostro salvatore senza avere vergogna di mettergli davanti tutta la nostra debolezza che, spesso, è una forma di cecità interiore che ci isola e in cui ci sentiamo confusi e insicuri. Quando sentiamo la fatica del passo possiamo fare nostro il grido di quel cieco <seduto lungo la strada a mendicare> (Lc 18, 35). Tutti e sempre continuiamo a mendicare un po’ di luce in più per orientarci nella nostra fatica di continuare, ora più gioiosamente ora più dolorosamente, a camminare.
Così prega un grande mendicante della luce: <Questa luce ci conduce per mano, ci fortifica, ci insegna, mostrandosi e poi fuggendo quando abbiamo bisogno di lei. Non è quando lo vogliamo – ciò appartiene ai perfetti – ma quando siamo nella difficoltà e completamente senza forze che lei viene in nostro soccorso. Appare di lontano e mi dà di sentirla nel cuore. Grido col cuore in gola per arrivare a possederla, ma tutto è notte, e vuote sono le mie povere mani. Dimentico tutto, mi siedo e piango, disperando di vederla un’altra volta. Quando ho pianto abbondantemente e mi concedo di fermarmi, allora, arriva misteriosamente, mi prende la testa, ed io mi sciolgo in lacrime senza sapere chi è che illumina il mio spirito di una così dolce luce>1. Vale la pena faticare per riceverne un raggio, e, ancor di più vale la pena, soffrire per donarne ai nostri fratelli.
1. SIMEONE IL NUOVO TEOLOGO, Inni, 18.
” E, se attorno a te tutto ti sembra oscuro, guarda attentamente, puo’ darsi che la luce…sei tu… ” ( RÛMÎ )