Consolazione
XXXI settimana T.O. –
L’apostolo Paolo sembra sentire il bisogno di ricevere e di dare <consolazione> (Fil 2, 1). In questa ricerca, che corrisponde all’anelito più naturale e continuo del cuore umano, la prima lettura ci aiuta a comprendere come ogni consolazione non può che nascere da una sincera condivisione di conforto e non semplicemente dal soddisfare il proprio personale bisogno di essere consolati. In una delle preghiere più toccanti di Francesco d’Assisi – la cosiddetta Preghiera Semplice – il santo invoca il suo amato Signore chiedendogli di essere capace di consolare piuttosto che cercare di essere consolato. Il Signore Gesù lo dice in un altro modo, invitando quel <capo dei farisei che l’aveva invitato> (Lc 14, 12) non solo ad invitare generosamente piuttosto che aspettare di essere onorato da qualche invito, ma ad andare ancora più oltre: <quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti> (14, 13-14). Quello del Signore Gesù sembra un invito a trovare tutta la propria consolazione nella capacità e nel desiderio di fare della propria vita un dono per gli altri piuttosto che una ricerca del proprio benessere.
In questo modo siamo invitati ad un duplice salto di qualità nella nostra vita. Prima di tutto si tratta di superare ampiamente e a piè pari la logica del <contraccambio> (14, 12) per entrare così nella logica di quella gratuità che è capace, per quanto ci possa costare in termini di dedizione e di cura, di dare al nostro cuore il balsamo della consolazione. Le parole conclusive della prima lettura rappresentano una vera sfida: <Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri> (Fil 2, 4). Il Signore Gesù, con quelle parole rivolte al notabile che si è degnato di invitarlo a casa sua, sembra rincarare la dose: non cercare l’interesse proprio, ma prima di tutto e soprattutto quello degli altri. Per arrivare a vivere con questo atteggiamento di fondo è necessario un cammino di liberazione interiore che esige un profondo lavoro su se stessi per non vivere più nell’attesa di un riconoscimento che ci venga da fuori di noi, ma che sta al profondo di noi stessi. Solo un simile processo interiore può darci la piena libertà di invitare continuamente tutti a condividere ogni briciola di vita e di gioia della nostra umana avventura facendo così della nostra esistenza una tavola imbandita.
Perché tutto ciò possa concretizzarsi nella nostra vita e incarnarsi nelle nostre relazioni, ci viene indicato anche lo stile necessario: l’umiltà. Il salmo ci dona una grande speranza su noi stessi che è quella di giungere ad avere un cuore <quieto e sereno> (Sal 130, 2) capace di trovare pace e gioia nelle realtà quotidiane senza guardare troppo e inutilmente <in alto> (130, 1). Si tratta di non scegliere più i nostri interlocutori tra quanti progettano la loro esistenza sui nostri stessi valori e servendosi dei nostri stessi parametri tanto da diventare uno specchio che riflette semplicemente la nostra immagine. Il Signore Gesù ci spinge, invece, oltre noi stessi, facendo saltare i nostri steccati e i nostri parametri per imparare a invitare alla mensa della nostra vita chi è diverso e ci provoca con la sua diversità a cambiare e ad arricchire il nostro orizzonte… a rendere la nostra tavola più interessante e fonte di autentica consolazione.
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