Farsi avanti
XXIV settimana T.O. –
Molto prima che l’idea venisse agli apostoli di istituire dei diaconi a servizio della comunità e a sostegno dell’attenzione e dedizione degli apostoli nella loro missione di servizio alla parola, vediamo che questo dinamismo è già in atto attorno a Gesù. La presenza di un gruppo di donne sembra assicurare il buon funzionamento del primo nucleo della Chiesa, ma non va né dimenticato, né tantomeno sottaciuto, il carattere profetico di rottura con quelle che erano gli usi e la sensibilità del tempo. Una profezia che sa inglobare le necessarie rotture e che interroga ancora e sempre il cammino della Chiesa nella storia. La presenza di queste donne accanto al Signore e ai suoi discepoli, fanno la qualità e rappresentano la grande novità della chiesa nascente, non per il particolare e necessario servizio assicurato da sempre e in ogni ambito dalle donne, ma per il ruolo che esse assumono e il riconoscimento che viene loro assicurato.
Il mistero dell’unità e della comunione che porta il frutto così profumato e gustoso di una dedizione piena di compassione e di tenerezza risiede nel fatto che il centro delle relazioni di questo gruppo, non solo diverso – pensiamo alla provenienza e ai temperamenti degli apostoli – ma anche misto, trova il suo centro nell’amore per il Signore Gesù, al cui contatto ciascuno e ciascuna sembra aver ritrovato l’integrità e la serenità con se stesso e con gli altri. La prima diaconia della Chiesa, in cui vivono persone di diversa origine e temperamento, è la testimonianza di una comunione non solo possibile, ma anche veramente posta a servizio di tutti. Se è vero che Gesù sceglie i Dodici e li costituisce per un ministero particolare all’interno e a favore della comunità, rimane pur vero che c’è qualcuno che sceglie Gesù e mette tutta la sua vita al servizio del Vangelo.
Questo piccolo quadretto precede immediatamente il racconto della parola di quelle che sono le avventure del seme offerto e affidato dal seminatore ai vari tipi di terreni. Le donne di cui fa menzione Luca sono tutte donne che hanno sperimentato una guarigione che le rende, in modo del tutto naturale, accompagnatrici e sostenitrici del ministero di guarigione di Gesù e degli apostoli. Il frutto della loro guarigione è una devozione che si fa dedizione come superamento radicale e duraturo dell’egoismo e come postura femminile all’alterità. Fabrice Hadjadj constata che: <Il diavolo non ha viscere. Non accoglie l’altro nel suo cuore come la realtà più cara e amata>. Ciò che nel giardino di Eden il serpente è riuscito a rovinare attorno a Gesù si ricostruisce fino a rifondarsi.
Mentre gli apostoli vengono scelti, queste donne non hanno bisogno di nessuna elezione e di nessuna investitura. La loro esperienza di Cristo che ne tocca la vita così profondamente da guarirle, dà loro tutta la libertà e l’audacia di farsi avanti senza mai mettersi in una posizione diversa da quella che nessuno può loro togliere: il servire! In questo senso corrispondono del tutto naturalmente a ciò che i discepoli stentano a capire e ad imparare. Parafrasando ciò che dice Paolo nella prima lettura <se Cristo non è risorto dai morti…>, si potrebbe dire così <se Cristo non ci guarisce, nessuna testimonianza è autorevole e nessuna diaconia è vivificante>. Proprio le donne non solo si fanno avanti, ma resteranno fedeli al loro posto anche quando gli apostoli lo diserteranno, poiché quella di queste donne è una vocazione che viene da dentro e non da fuori, e il loro mettersi a servizio non è un’idea, è un’evidenza esistenziale che richiama la Chiesa e la discepolanza di ogni tempo e di ogni luogo.
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