Mangiare
XX Domenica T.O. –
Mangiare la carne del Figlio significa riconoscere profondamente ed essenzialmente che la vita non è in noi stessi. Essa non proviene <né da carne né da sangue> (Gv 1, 13), ma abbiamo bisogno di attingerla da colui che dà la vita al mondo, da colui che è la vita del mondo e che per il mondo si è fatto datore di vita accettando fino in fondo <di dare la vita> (15, 13). Mangiare significa così riconoscere di avere bisogno di attingere la vita, come pure mangiare significa manifestare – senza alcuna vergogna o paura – il desiderio profondo di entrare in relazione con l’altro in un legame d’amore che vivifica profondamente: “Ti mangerei” è ciò che dice la mamma al proprio figlio e l’amante all’amata e con questo si vuole dire la propria indigenza che sa di avere bisogno non solo di altro ma, soprattutto, dell’altro per vivere. Come spiega P. Bockel <L’amore si mangia. Dio è talmente Amore da chiedere di essere mangiato come pure mangiare Dio è il segreto desiderio dell’uomo avido di assoluto e di pienezza>. Perché questo mangiare sia vivificante dev’essere con-viviale, deve essere la risposta ad un invito ad entrare in comunione: <Venite> dice la Sapienza <mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato> (Pr 9, 5). Questa è l’immagine inversa di ciò che accadde nel Giardino dell’Eden ove la donna stese la mano e prese e l’uomo accettò di mangiare nella stessa modalità, con il medesimo modo auto-referenziato e dimentico di quel limite posto da Dio non per invidia o prepotenza. Al contrario per desiderio di relazione e di com-presenza nel cammino delle sue creature a cui aveva fatto il più grande dei doni: la libertà di essere come lui liberi. Ciascuno di noi è, secondo quanto dice il libro dei Proverbi, un <inesperto> (Pr 9, 4) che ha bisogno di imparare a mangiare come dei bambini che devono passare dal latte al pane: dal cibo per me al cibo per noi. Imparare la Sapienza significa abbandonare ogni pretesa ed essere docili ad ogni invito che ci viene dal profondo del cuore ad <andare diritti per la via dell’intelligenza> (9, 6). È lo stesso pressante invito che ci fa l’apostolo: <fate molta attenzione al vostro modo di vivere, comportandovi non da stolti ma da saggi> (Ef 5, 15) e aggiunge <non ubriacatevi di vino, che fa perdere il controllo di sé, siate invece ricolmi dello Spirito> (5, 18). Uno dei miti più “resistenti” della tradizione cristiana e che continua a conoscere infinite metamorfosi è proprio quello del Santo Graal. Da sempre si è identificato in un qualche calice – conservato con infinita cura – quello in cui il Signore Gesù avrebbe celebrato la sua Cena Pasquale o in cui sarebbe stato raccolto il suo preziosissimo sangue sotto la croce. Il Santo Graal è la nostra vita interiore nella cui coppa siamo chiamati ad accogliere la grazia per poterla condividere con tutti.
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