Giogo
XVIII settimana T.O. –
Nella prima lettura assistiamo ad una sorta di singolar tenzone tra il profeta Geremia e il sedicente profeta <Ananìa figlio di Azzur> (Gr 28, 1). Nel corso del testo si fa riferimento, per ben sette volte, al <giogo> (28, 2.4.10.11.12.13.14.) che il falso profeta dice sarà presto spezzato e Geremia, invece, ritiene sia ancora da portare e da assumere per compiere quel cammino di purificazione e di conversione senza il quale non si può ritrovare l’amicizia con Dio e ristabilire l’Alleanza. I sette riferimenti al <giogo> con la durissima replica del profeta Geremia portano ad un’amara conclusione: <Il quello stesso anno, nel settimo mese, il profeta Ananìa morì> (28, 17). Questo epilogo non ci può e non ci deve lasciare indifferenti: cosa significa questa morte che il profeta Ananìa deve subire come rivelazione del suo non essere stato <mandato> (28, 15) dal Signore?
Certamente ci sono delle questioni di genere letterario e di contesto culturale da cui non è esente la stessa sensibilità religiosa, nondimeno questo testo ha un messaggio che vale per ciascuno di noi e per la nostra comunità di fede, per la Chiesa. Il discernimento degli spiriti esige la capacità di non lasciarsi ammaliare da annunci troppo facili e un segno della loro provenienza, divina o umana, è il grado e la qualità del coinvolgimento in quello che si annuncia e che si tende a promettere in nome di Dio. Alla fine, Ananìa muore – nel tempo indicato dal profeta Geremia – in questo modo – sub contrario – viene rivelato un dato di fondamentale importanza: la predicazione del <profeta di Gabaon> (28, 1) era falsa perché, in realtà, non gli costava il prezzo di un coinvolgimento reale. In ogni tempo, anche nel nostro, e ciascuno di noi può cadere nella trappola di essere troppo sensibile ad annunci di facili e “provvidenzialiste” soluzioni, ma che, in realtà, non richiedono nulla in termini di dedizione e di perdita personali. La Parola di Dio si realizza sempre attraverso la nostra capacità di entrare in prima persona nel disegno di Dio. Per essere autenticamente profeti del Signore non basta essere dei semplici banditori, ma bisogna che la salvezza si offra attraverso il dono – talora assai oneroso – della nostra vita fatta in prima persona.
Alla luce della prima lettura ci risulta più facile capire cosa avviene nel mare del cuore dei discepoli del Signore mentre si trovano di nuovo soli in mezzo a quel lago che pure dovrebbero conoscere meglio del loro Maestro. Eppure, non basta né conoscere le insidie di un lago sulle sponde del quale si è nati e vissuti da sempre, né tantomeno basta l’esperienza di tante notti passate a pescare. Quando diventiamo capaci di osare un passo in più, come quello che Pietro chiede di essere in grado di fare al Signore Gesù, è necessaria una misura più ampia e profonda di fede. Questa presuppone una fiducia nell’altro più grande di quella che possiamo avere in noi stessi. Allora non ci resta che gridare: <Signore salvami> (Mt 14, 30). Non è mai facile portare il giogo di una libertà conquistata con la rinuncia alla conservazione di se stessi e in continua apertura verso modi nuovi e più ampi di sentire e di sperare.
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