Nel tuo nome!

XII settimana T.O.

Il Discorso della Montagna che abbiamo riletto durante la Liturgia di questi ultimi giorni arriva alla sua conclusione e sembra che l’evangelista Matteo ci tenga a sottolineare la tappa di ascolto da parte dei suoi lettori che desiderano porsi alla scuola dell’unico Maestro: <Quando Gesù ebbe terminato questi discorsi, le folle erano stupite del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come i loro scribi> (Mt 7, 28). Prima di congedarci da questa fase fondamentalmente di ascolto di un insegnamento, siamo obbligati a fare una sorta di verifica per poter accedere – come in un vero cammino iniziatico – al grado successivo. Questo passo viene assicurato dal racconto di una parabola che sembra preludere a quelle che il Signore Gesù racconterà più ampiamente ai suoi ascoltatori più avanti: <In quel giorno molti mi diranno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?”> (7, 22).

Stranamente invece di essere il Maestro ad interrogare i discepoli, sono questi ultimi a porre tre domande che hanno tutta l’aria di un’autogiustificazione. Siamo così posti di fronte ad un serio processo d’iniziazione per cui ciò che sembra all’apparenza non corrisponde all’autenticità verso cui bisogna decisamente incamminarsi. Non basta aver fatto delle grandi cose per essere discepoli di Cristo e realmente formati al suo Vangelo. Perché questo sia autentico è necessario che l’annuncio ricevuto dalla bocca del Signore, che fa tutt’uno con l’aver vissuto accanto a lui in una grande vicinanza che permette una conformazione profonda al suo stile di vita, sia diventato la <roccia> (7, 24) di fondazione della nostra stessa vita. Nella logica del Vangelo non esiste nessuna fondazione interiore che non sia una rifondazione continua. In questo consiste la differenza tra l’insegnamento di Gesù e quello degli scribi, ma pure la differenza tra i discepoli di Gesù e quelli degli scribi. Questa differenza consiste nel non accontentarsi di avere raggiunto una visibilità ed efficacia spirituale, ma nell’essere continuamente impegnati a scavare per raggiungere dentro di sé quel punto di contatto tra la nostra argilla e la roccia che è Cristo.

Secondo l’esempio dell’<uomo saggio> di cui parla il Signore Gesù nella sua parabola, la Liturgia sembra accostare quella di un re non solo iniquo ma pure insipiente che, con la sua superficialità, lascia che siano asportati <tutti i tesori del tempio del Signore> (2Re 24, 13). Ciò da cui dobbiamo cercare non solo di difenderci, ma pure di prevenirci è il rischio di essere condotti in <esilio> (24, 16). Dobbiamo stare attenti a non essere condotti lontano dalla Gerusalemme del nostro cuore per essere deportati interiormente nella fornace di <Babilonia> che è segno di quel movimento ascendente frutto della superficialità e della superbia e privo di fondamento. In tal caso non c’è speranza: <essa cadde e la sua rovina fu grande> (Mt 7, 29).

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