Segreto

X settimana T.O.

Le Beatitudini non sono prima di tutto e fondamentalmente l’insegnamento di Gesù per la nostra vita, sono i tratti del suo volto e il ritmo dei suoi passi che annunciano ad ogni uomo e ad ogni donna un possibile cammino di pace e di felicità. Lo ricorda con una certa commozione Cromazio di Aquileia: <Occorreva che la legge nuova fosse proclamata su un monte, dato che la legge di Mosè era stata data su un monte. Una consiste in dieci comandamenti destinati a formare gli uomini in vista della condotta della vita presente, l’altra consiste in otto beatitudini, perché conduce coloro che la seguono alla vita eterna e alla patria celeste>1. Per questo la nostra preghiera non è quella di poter seguire Gesù sulla via delle beatitudini, ma prima di tutto quella di poterlo contemplare come modello di beatitudine nel suo cammino dalla Galilea al Golgota. La vita è sempre costellata di nuovi incroci che esigono una scelta rinnovata della direzione per la quale proseguire il nostro viaggio interiore. Se ci trovassimo ad un crocicchio con varie indicazioni: potere, fama, gloria, ricchezza, benessere… e una piccola indicazione che indicherebbe il sentiero della “felicità”, quale seguiremmo? Forse il nostro sesto senso ci farebbe prendere comunque il sentiero della felicità per quanto più impervio e meno tracciato e, soprattutto, molto meno battuto. E avremmo ragione di farlo perché, in realtà, tutte le altre cose non sono sentite se non come parte di questa felicità che, alla fine, è ben più grande di ogni ricchezza, gloria, fama successo.

Le ultime parole del Vangelo ci obbligano ad aprire gli occhi sula grado di difficoltà del sentiero della felicità che, come tutti i percorsi di montagna, esige un certo allenamento. Le parole del Signore suonano così: <Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate> (Mt 5, 11-12). Questa conclusione è certo inquietante se pensiamo alla sequela del Signore sulla via del Vangelo come un investimento per la vita; eppure se riflettiamo meglio ci rendiamo conto che è racchiusa nell’ultima beatitudine l’essenza stessa della felicità cui ci invita il Signore. Questa felicità è evocata in quella piccola glossa che, come la chiave di uno spartito, dà alla musica della felicità evangelica il suo tono inconfondibile e indimenticabile: <per causa mia>!

Si comprende allora come la storia di Elia diventi una sorta di mappa per muoversi nei cammini del Vangelo. Ciascuno di noi è chiamato a sperimentare la cura di Dio per la nostra vita e, allo stesso tempo, la capacità di rischiare tutta la nostra vita per il nostro Dio. L’immagine finale della prima lettura è commovente: <I corvi gli portavano pane e carne al mattino, e pane e carne alla sera; egli beveva al torrente> (1Re 17, 6). E intanto il profeta si preparava ai suoi combattimenti e alle sue rese custodendo il segreto della sua intimità con Dio. Se ci sforziamo di seguire la via delle beatitudini evangeliche come norme morali e non come storia di intimità non ne potremo godere la felicità più profonda perché ce ne sfuggirebbe il segreto capace di cambiare la vita, senza nulla mutare della nostra vita sempre povera e spesso afflitta.


  1. CROMAZIO DI AQUILEIA, Discorsi, 39.
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