Piena libertà
III settimana T.O. –
La Lettera agli Ebrei ci ricorda con una certa solennità che abbiamo <piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù> che si è fatto per noi <via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne> (Eb 10, 19-20). Da parte sua il Signore Gesù ci ricorda che questo ingresso libero alla sua stessa vita divina è direttamente proporzionale alla nostra disponibilità a lasciare entrare dentro di noi il seme della parola e la luce fecondante della sua stessa presenza. Questa intima presenza è capace di fare di noi il segno e la testimonianza dell’opera di Dio al cuore della storia. Per questo la domanda del Signore Gesù ci riguarda profondamente e, per molti aspetti, esige da noi una risposta generosa e profondamente coinvolta: <Viene forse la lampada per essere messa sotto il moggio o sotto il letto? O non invece per essere messa sul candelabro?> (Mc 4, 21). La libertà che il Signore ci dona e ci richiede sembra essere duplice: la libertà di accogliere il dono della sua presenza e la libertà di esporci al rischio della testimonianza.
Perché l’una e l’altra libertà possano realmente darsi nella nostra vita concreta, è necessaria una misura abbondante – anzi sovrabbondante – di autentico ascolto che è la forma primordiale dell’accoglienza della vita che ci viene da fuori e da più lontano di noi stessi: <Fate attenzione a quello che ascoltate. Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi; anzi, vi sarà dato di più> (4, 24). Non è raro che percepiamo il dovere e le implicanze di un ascolto sincero e generoso quasi come fosse una limitazione della nostra libertà, al contrario esso è la via di una sempre più ampia liberazione che permette una sorta di interiore germinazione della capacità di crescere in apertura, in generosità, in dono. L’invito all’ascolto del Signore Gesù viene ripreso – in un’altra dimensione non meno essenziale – in conclusione della prima lettura: <Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone> (Eb 10, 24).
Dopo la parabola del seminatore, questa piccola raccolta di consigli che il Signore Gesù offre Ai suoi discepoli, ci ricorda che la parola di Dio non è destinata ad essere abbandonata nel nostro cuore come in una cantina deserta e dimenticata, ma custodita come un tesoro sulle cui risorse si possa sempre contare e che si può sempre investire. Il nostro rapporto con la parola di Dio è spesso confuso e rischia di smarrirsi nel pendolo tra intellettualismo ed emotività. Invece la Parola di Dio vuole essere per noi una luce che si possa ascoltare e in certo modo continuamente proferire come facciamo con le parole e ben più delle parole. Lasciare deperire questa risorsa nei bassifondi della nostra anima equivarrebbe a farla mentire cominciando col farla marcire. Al contrario, accoglierla significa lasciarla risplendere tanto da far sì che essa illumini non solo noi stessi, ma anche tutto ciò che ci circonda.