Profeta
VI Domenica T.O. –
Il Signore Gesù che si era presentato nella sinagoga di Nazareth come profeta oggi ci parla proprio nello spirito, nella forza e nell’audacia dei grandi profeti di Israele. La prima lettura tratta da Geremia – il profeta per antonomasia con Elia – ci mette subito sulla strada giusta per capire il genere letterario del discorso tenuto da Gesù. Si tratta per il discepolo di acquisire la capacità profetica di leggere la realtà, di valutarla e di giudicarla in modo chiaro e netto: <Maledetto l’uomo che confida nell’uomo […] Benedetto l’uomo che confida nel Signore> (Gr 17, 5.7). Gesù traduce queste parole in <Beati… Guai a voi>. Questa sorta di sfondo profetico lo si ritrova come un ritornello nel testo: <facevano i loro padri con i profeti […] facevano i loro padri con i falsi profeti> (Lc 6, 23. 26).
La parte specificamente lucana di <Guai> – termine che si trova appunto nei libri profetici e nell’Apocalisse libro profetico per eccellenza dove i “Guai” si alternano ai “Beati” – permette di cogliere la differenza di orizzonte che c’è tra il discorso delle Beatitudini a cui tutti automaticamente pensiamo nella redazione matteana e quello ben più imbarazzante di Luca. Da parte sua Matteo fa pronunciare questo discorso sul monte (Mt 5, 1) mentre Luca tiene a sottolineare proprio che <Gesù disceso con i dodici, si fermò in un luogo pianeggiante […] e diceva> (Lc 6, 17.20). In Matteo si sottolinea la veste Magisteriale mentre Luca ama presentare Gesù come profeta che sta non sul monte – appunto come Mosé – ma sul piano, ossia nel campo di battaglia in mezzo ai suoi discepoli e non ancora discepoli che lottano nell’interpretazione della vita e della storia. Il Signore Gesù sembra sguainare la spada della sua parola per dividere in due parti i suoi ascoltatori a cui si rivolge in modo assai diretto. Gesù osa contrapporre gli uni agli altri, la logica di Dio a quella degli uomini e lo fa senza mezzi termini.
Ma chi è il profeta? Cosa significa esercitare la profezia che ci è stata infusa con il dono battesimale e l’unzione crismale? Se il profeta vede e dice le cose che gli altri ancora non vedono – come nel caso di Geremia – leggendo la realtà prima e oltre le teste altrui la prova che sia un profeta mandato Dio sta nella sua capacità di dare la vita – tutta la vita – per ciò di cui si fa messaggero nel qui e ora della storia. Solo il profeta infatti è uomo veramente attuale poiché egli vive il presente sempre come una fatica di transizione tra passato e futuro. Il termine greco che traduciamo con <Rallegratevi> (Lc 6, 23) in greco – sirtachéte – indica il saltellare proprio della danza. E nella danza tutta l’attenzione deve essere sul passo successivo, sul futuro incombente dello svolgersi armonioso della danza in cui ciascuno è chiamato a muoversi verso il dopo, verso l’altro continuamente dimentico del passato e dei passi già compiuti. Per questo e in questo modo il profeta è sempre colui che richiama certo al tempo passato della fedeltà e dell’amore nella sua qualità di tempo aperto al futuro, al desiderio, all’incremento, all’ad-ventura.
Non c’è profezia senza rischio, non c’è beatitudine e felicità degni di questo nome se non a rischio della vita. Così la parola di Paolo si fa assai tagliente nel porre in relazione strettissima vita e morte: <Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti> (1Cor 15, 20). E se Cristo fu messo a morte fu a motivo del suo essere considerato ed etichettato come un “falso profeta” mentre era un “vero profeta” capace di mettere a nudo la falsità di quanti ricchi e sazi, gaudenti e stimati invece di servire Dio si servivano di lui per essere serviti e non per servire.